I marchi di garanzia – Dop, Igp ed Stg – non sono mai entrati nel cuore del consumatore medio. Lo si sa da anni, e anno dopo anno c'è qualcuno che lo dice, anzi lo ripete. Ancora una volta il presidente dell'Aicig (Associazione Italiana Consorzi Indicazione Geografica), Giuseppe Liberatore, lo ha sottolineato, a margine di una riunione svoltasi al Mipaaf (leggi qui), all'inizio di questo mese, e di nuovo più di recente, incontrando i media.
Uno dei pochi sistemi in cui l'Unione Europea appare realmente unita, proprio non funziona. L'appeal che avrebbe dovuto ottenere tra i consumatori pare non si sia mai di fatto manifestato: la gente consuma per lo più quel che capita, è cosciente che – se c'è il bollino – il bollino si paga e ha spesso perduto fiducia, perché i tanti, troppi scandali che hanno toccato negli anni i prodotti "garantiti" hanno lasciato il segno. Come se si fossero stratificati nelle coscienze della gente.I pochi consumatori che hanno preso a fare delle scelte sembrano andare in altre direzioni: una volta si guardava con interesse al biologico, oggi si guarda con più fiducia al "biologico di fattoria", perché anche nell'ambito del bio qualche grosso gruppo è andato sulle pagine di cronaca nera, e i consumatori che cercano garanzie, per sé stessi e per i propri figli, sono i più attenti e – oramai – anche i più sfiduciati. In effetti, e a ben guardare, sta emergendo sempre più chi, ragionando con la propria testa, inizia a parlare di bio-equivalenza. Vale a dire che, se un prodotto è fatto in campo libero, in montagna – da un'azienda non certificata per ragioni spesso solo di costi – e se c'è la fiducia in un rapporto diretto (ah, la filiera corta, ma allora funziona!) allora non vi sono marchi che tengano.
Vale a dire che nell'arco di venti anni, quello che doveva essere "il" sistema di garanzia pare aver compiuto la sua parabola verso l'inconsistenza, attorcigliandosi senza colpo ferire nella dimensione dell'impopolarità, e che l'incessante crisi ha allontanato molti dei pochi che lo avevano tenuto in qualche considerazione. A confermarlo giungono i dati della stessa Aicig (riunisce 58 realtà consortili che producono più del 90% in valore economico all'interno delle produzioni italiane a Indicazione Geografica): le realtà italiane che si fregiano del "bollino" nel 2013 hanno generato un fatturato complessivo all'origine di 6,6 miliardi di euro e al consumo di 13,2 miliardi di euro, con un valore export pari a 2,4 miliardi di euro. Il recente rapporto annuale edito dalla Fondazione Qualivita, poi, parla chiaro: nel 2014 i consumi interni di Dop, Igp ed Stg si sono ridotti del 3,8% (ortofrutta giù del 16,2%, fonte Italiafruit), trascinando ancora una volta la Gdo sul banco degli imputati. Una Gdo che, a detta proprio di Liberatore, è ora chiamata ad «individuare delle strade per differenziare i nostri prodotti Dop e Igp dagli altri, nell'ottica di mettere i consumatori nelle condizioni di effettuare scelte consapevoli».
In sostanza – è questa la richiesta fondamentale – alla grande distribuzione organizzata viene richiesto, ora come in passato, di farsi carico delle disfunzioni di un sistema mal concepito e mal governato. Di proporre i prodotti a marchio di protezione in spazi fisici distinti (o con cartellini di diverso colore, ha vociferato qualcuno, ndr) e sottolineando quelle diversità che il sistema delle Dop, Igp ed Stg non sarebbe riuscito a far giungere in modo convincente ai consumatori in tutti questi anni. Gli argomenti con cui affermare una qualche superiorità? I sistemi di controllo e certificazione, a garanzia dei consumatori e dei produttori stessi.
Ancora una volta l'impressione è che si giungerà ad un nulla di fatto, mentre buona parte dei costi di questo baraccone continueranno a gravare sulle spalle di consumatori e contribuenti.
13 aprile 2015