
Giro di vite, mercoledì scorso, 5 giugno, su alcune aziende del comparto bufalino nel comprensorio di Cancello e Arnone, in provincia di Caserta: gli agenti delle Fiamme Gialle — coadiuvati dagli ispettori delle Asl, dell’Ispettorato territoriale del lavoro e dal personale dell’Arpac — hanno fatto visita a quattordici allevamenti, insospettiti in taluni casi dall’inadeguato numero di lavoratori presenti (ufficialmente) in azienda, rispetto ai capi realmente allevati.
I sospetti si sono trasformati in certezze già nel corso delle prime ispezioni, e al termine dell’operazione ben dodici dei ventiquattro lavoratori presenti sono risultati ingaggiati in nero (due privi del permesso di soggiorno, denunciati e prossimi al rimpatrio, ndr) e, com’è “naturale” che sia in questi casi, fortemente sottopagati.
Da un’attenta analisi degli indici di sfruttamento (previsti dall’attuale normativa, ndr) è stato appurato che un datore di lavoro, speculando sullo stato di bisogno di un lavoratore aveva posto il medesimo in condizioni di totale asservimento, con un orario di lavoro largamente in eccesso rispetto a quanto previsto, in pessime condizioni igienico-sanitarie e con una misera paga. Per questo allevatore e un suo collega è scattata la denuncia, e per tre aziende verrà valutata la sospensione dell’attività.
Nel corso delle ispezioni sono state anche verificate le condizioni ambientali e il rispetto delle normative anti-inquinamento, tant’è che per due aziende e per un’area complessiva di 7mila metri quadrati è stato disposto il sequestro, a causa del ripetuto sversamento di rifiuti liquidi. Una di queste società è stata anche sanzionata in quanto non in regola con il registro di carico e scarico dei rifiuti.
Nel rallegrarci per l’esito che l’operazione ha avuto e avrà, per qualche tempo, sul tessuto produttivo della zona, si auspica che altre attività di controllo e repressione delle illegalità vengano attuate con più regolarità e maggior frequenza. E che magari le autorità decidano di divulgare i nomi delle aziende e dei produttori coinvolti, se non altro per evitare che il comune sentire della gente arrivi a bollare un’intera comunità per gli errori di pochi.
10 giugno 2019