
In tempi di pandemia conclamata da Coronavirus, l’affanno che tutto il mondo agricolo sta palesando, è tanto più quello dei piccoli produttori, che spesso servono botteghe e ristoranti, ora chiusi, e che trovano sbocco in mercati contadini ora sospesi in molte parti d’Italia (leggi qui e anche qui). Ma è anche quello dei grandi che sentono il peso di difficoltà non prevedibili, laddove ad esempio una parte della mano d’opera – quella assoldata in nero, per ovvi motivi, non circola più. Scendono i livelli produttivi, cala la richiesta, e – al di là del legittimo dubbio su cosa ci riserverà il futuro post-emergenza – si prova a trovare qualche soluzione per un galleggiamento che abbia margini di tenuta.
Nel nostro articolo “Nielsen: il latte Uht vola (+34%) ma è ancora in gran parte straniero”, pubblicato oggi, raccontiamo del mercato e dei produttori di latte, di latte fresco e di Uht, di possibili sviluppi a cui quel mercato andrà incontro, in un contesto in cui l’unica spinta possibile verso il cambiamento – anche se infinitesimale, ma non per questo non esemplare – potrà arrivare dalle microrealtà che fanno qualità reale (latte fieno e #lattederba, ndr). [segue dopo la pubblicità]
Ma, a guardar bene, anche se i giornali se ne interessano meno, interessandosene meno Coldiretti, anche molte aziende pastorali sono in sofferenza per i suddetti motivi e per altre convergenze negative: una parte del formaggio può essere stagionata, certo, quindi venduta più avanti, una parte invece segue le logiche di deperibilità del latte, con i ristoranti chiusi e le vendite in picchiata. E con gli incassi del pregresso che possono rappresentare essi stessi un tanto serio quanto imprevisto problema.
Mai come oggi, ciò che può fare la differenza, per la salvezza di un’azienda che allevi ovicaprini, è la vendita della carne d’agnello e di capretto. Come ogni anno, con l’approssimarsi della Pasqua, e le sempre più pressanti azioni di contrasto di agguerriti gruppi animalisti, la più tradizionale vendita di carne ovicaprina che l’Italia conosca percorre una strada in salita, in un mercato che da anni vede la Gdo e la gran parte delle macellerie invase da carni estere. Carni di animali giovani che dopo lunghissimi viaggi vengono macellati in Italia per ricevere un sigillo che di italiano ha il solo luogo di macellazione.
Andando controcorrente, e quindi meritando il plauso nostro – e si spera quello di una larga parte del mercato locale – si registra in questi giorni l’esemplare caso dei punti vendita Tigros delle province di Varese e Milano. Grazie alla mediazione di un veterinario del luinse – tale Marco Magrini – che ha fatto suoi gli appelli dell’azienda agricola Pian del Lares di Veddasca, nel comune di Maccagno con Pino e Veddasca – ben trecento capretti allevati in quell’area saranno venduti in oltre cinquanta dei sessantadue punti vendita Tigros, presenti nelle due province. [segue dopo la pubblicità]
Ad aderire con insospettabile entusiasmo all’appello dell’azienda, veicolato dal Magrini, è stato il patron della catena lombarda di supermercati, in persona. Paolo Orrigoni – questo il suo nome – che fondò Tigros nel 1976, si è detto entusiasta di questa opportunità e ha lanciato un messaggio importante per i produttori della Formagella del Luinese Dop: in prospettiva c’è la possibilità che Tigros valuti di sostenerli assicurando alla Dop varesotta uno spazio tra i suoi scaffali. E se tutto andrà bene – anche per i fortunati consumatori delle due province – l’iniziativa verrà estesa anche ai loro superlativi salumi.
30 marzo 2020