Ancora menzogne sulla tragicomica beffa delle quote latte

Riceviamo e volentieri pubblichiamo una lettera di un nostro affezionato lettore, allevatore di vacche da latte della Pianura Padana. Riguarda l’annoso tema delle “quote latte”, sempre più trascurato dai media nazionali ma che ancora sta destando sorpresa e indignazione in larga parte del mondo allevatoriale, per alcuni grotteschi accadimenti che vedono ancora la politica e le amministrazioni pubbliche del settore brillare assai poco. E molti moltissimi allevatori sul bordo del precipizio a causa di multe per lo più non dovute.


Gentile Direttore, 

dall’affaire quote latte italiano non ci siamo mai fatti mancare nulla: dalle stalle-attico in Piazza Navona dei primi anni ’90 (leggi qui) ai circa 3 milioni di quintali di latte “non pervenuti” nel 1995 e 1996 (vedi qui; pdf 1,4Mb) e riapparsi improvvisamente sui terminali dell’allora Aima (l’azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo antesignana di Agea) in tempo utile affinché su di essi fossero calcolate le multe. Per non parlare poi delle rimostranze di un generale della Guardia di Finanza che, minacciando di denuncia penale un dirigente Asl per le sue reticenze nel conteggio delle vacche da latte , si sentì rispondere che “un pessimo processo è molto meglio che un funerale di Stato, con tutti gli onori del caso” (clicca qui e cerca “Natalino Lecca”).

Ma da qui a vedere, come si è visto nelle settimane scorse, un incolpevole sottosegretario al Ministero dell’Agricoltura come Franco Braga, spedito alla Camera dei Deputati per rispondere a un’interrogazione affermando (ovviamente con una risposta preparata per tempo dai soliti noti) in maniera a dir poco spudorata il falso (leggi qui), non ci eravamo mai arrivati. Per gli addetti ai lavori i fatti sono abbastanza noti. Nel 2011 Agecontrol – società totalmente controllata da Agea – stipula un contratto di consulenza con Marco Paolo Mantile (il colonnello dei Carabinieri già comandante del Comando Carabinieri Politiche Agricole all’epoca delle indagini di polizia giudiziaria delegate dalla Procura di Roma) finalizzato alla verifica della corretta applicazione del regime quote latte. Questi il 17 novembre 2011 formalizza una richiesta di documentazione ad Agecontrol e, per conoscenza, alla stessa Agea al fine di ottemperare al proprio contratto di lavoro.

Per un mese il silenzio delle amministrazioni contattate è tombale al punto che in data 22 dicembre 2011 l’onorevole Di Pietro e altri esponenti dell’Italia dei Valori depositano alla Camera dei Deputati un’interrogazione al ministro Catania (leggi qui) per chiedere lumi sulla reticenza di Agea e delle società controllate. La pressione è tale che il 31 gennaio scorso il Commissario Straordinario di Agea, generale della Guardia di Finanza Mario Iannelli, fa propria la richiesta di documentazione di Mantile reiterandola agli stessi enti (leggi qui la prima metà del testo, sino a “Non fa una grinza”).

Avviene così che, nel febbraio scorso, l’ex presidente di Agea Dario Fruscio vince il ricorso da lui presentato al Tar e avverso al commissariamento della stessa Agenzia. Non appena nuovamente insediato alla presidenza di essa, Fruscio invia una lettera al direttore generale di Agea e al presidente di Sin (leggi qui la seconda metà del testo, dal titolo di metà pagina “Ma cosa aveva chiesto l’ex commissario Agea?”) per sospendere la fornitura dei dati fino a quel momento mai avvenuta. È qui che l’avallo amministrativo dell’inerzia delle amministrazioni interessate appare come la pietra tombale su ogni benché minima ipotesi di chiarezza sulla questione.

Ma la farsa si completa il 2 ottobre scorso: in Commissione Agricoltura alla Camera dei Deputati, Braga, inviato dal proprio ministro in veste di messaggero a rispondere all’interrogazione Di Pietro del 22 dicembre del 2011 (oltre nove mesi dopo!), si avventura nell’affermare che Agea non ha fornito i dati in quanto non le sono mai stati richiesti. Ora – a parte i contorni di questa risposta che sembrano connotare una tragicommedia – c’è da chiedersi come possa essere giustificabile che le istituzioni di un Paese democratico pretendano da un innumerevole numero di aziende (anche tramite le cruente procedure coattive di Equitalia, così come inserite nel Ddl Stabilità) delle somme a titolo di prelievo supplementare (leggi qui) che obbligatoriamente – se versate – porteranno all’inevitabile chiusura delle aziende stesse e nello stesso tempo si rifiutino e volutamente nascondano quei dati che hanno fatto scaturire quelle multe?

Gli allevatori si rifiutano di pagare semplicemente perché hanno capito che da indagini di polizia giudiziaria quelle multe sono frutto di artifizi contabili. E la spudorata ritrosia ministeriale nel portare un minimo di luce sul problema ne è solo la drammatica conferma.

Cordialmente,

mancotravaglio

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27 ottobre 2012