Anni e anni di polemiche, di accuse, di maldestri tentativi di smentita sulle responsabilità della zootecnia intensiva a proposito dell'inquinamento da nitrati sono alle spalle, come per magia, da giovedì scorso 29 maggio, giorno in cui i vertici nazionali e lombardo della Coldiretti hanno rilasciato le loro ultime e sorprendenti affermazioni in materia.
In separate interviste, poi riprese da vari altri responsabili locali dell'associazione (laddove la problematica è più sentita), i presidenti Roberto Moncalvo (nazionale) ed Ettore Prandini (lombardo) hanno sentenziato in una nota stampa e senza battere ciglio che "Finalmente si è fatta quell'operazione-verità da tempo auspicata sulla vicenda nitrati e sulle lacune e falsificazioni nell'attribuzione alla zootecnia della responsabilità esclusiva di inquinamento delle acque".
La gioiosa e stupefacente affermazione è giunta in seguito ad una riunione svoltasi al Ministero delle Politiche Agricole, d'intesa con le regioni del bacino idrico del Po e con il Ministero dell'Ambiente.
A dare tanta sorprendente forza alle affermazioni addotte è giunta una utilissima presa di posizione dell'Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) che, andando in direzione opposta a centinaia di studi accademici mondiali, asserisce, secondo Coldiretti, che "il coinvolgimento della fonte zootecnica nelle problematiche ambientali sia del tutto trascurabile o minimo, mentre assume un diverso peso il contributo di altre sorgenti, in particolari minerali". E i minerali come si sa non parlano, quindi difficilmente potranno smentire.
E poi perché mai guardare sempre all'Italia – e alla Pianura Padana in particolare – quando si pensa ai nitrati? Perché mai, dal momento in cui "i dati ufficiali forniti dalla Commissione", prosegue la nota coldirettiana, "confermano che in Europa il primato è tedesco ("le concentrazioni massime di nitrati nelle acque attribuiscono alla Germania il ruolo di Paese maggior inquinatore, a causa di un modello zootecnico intensivo")? "Nel nostro Paese" – continua la Coldiretti – "occorre ricercare fuori dall'agricoltura le cause del deterioramento della qualità delle acque, così come già l'accordo del 2011 della Conferenza Stato Regioni aveva intuito, avviando la realizzazione di nuovi studi (quelli che ora, puntualmente arrivano dall'Ispra, ndr) sulla natura e l'origine del superamento dei valori soglia".
Trionfalistici i toni di Prandini: «È stata riconosciuta», ha detto senza indugio alcuno il numero uno lombardo dell'associazione, «la bontà della nostra tesi, ossia che l’agricoltura rappresenta solo una parte residuale del problema e che le vere cause vanno ricercate altrove, dall’industria agli scarichi civili».
È proprio vero quel che si dice in genere in casi spinosi come questo: "ci vorrebbe un appoggio di un prestigioso istituto di ricerca", e a volte accade che l'aiutino salti fuori, al momento giusto e sul tavolo giusto. Peccato per la tanta stampa pronta a rassicurare, e peccato soprattutto per le centinaia di ricerche universitarie svolte a livello mondiale negli anni, tutte molto meno tenere con l'industria degli allevamenti intensivi. Molte di esse sono disponibili in rete, semplicemente con un click. Noi abbiamo trovato queste (tutte fonti accademiche: si cercano su "scholar.google.it, e noi abbiamo inserito le parole-chiave "nitrates" "pollution" "livestock" "University", ndr), e sinceramente ci appare quantomeno imbarazzante, dando solo una rapida scorsa, poter affermare tesi differenti da queste.
3 giugno 2014