La campagna mediatica lanciata giovedì scorso 26 maggio dal ministero agricolo italiano, di concerto con confederazioni agricole, industrie e Gdo, dice che il latte fresco italiano fa bene. E se anche non lo dice in maniera così esplicita e netta, di sicuro induce a pensarlo. I testimonial che infondono forza ad un claim a dir poco minimalista ("Latte fresco", tout court) sono Carlo Cracco, Cristina Parodi, Demetrio Albertini e Giorgio Calabrese, vale a dire un cuoco, una conduttrice televisiva, un ex calciatore, un nutrizionista.
Quattro facce sorridenti, nonostante il coinvolgimento all'iniziativa sia stato gratuito. L'hanno fatto per una buona, buonissima causa: il comparto del latte industriale è in crisi. E va aiutato. Come sottolineato dal ministro Maurizio Martina «scegliere la qualità del latte fresco per i consumatori di ogni età vuol dire saper riconoscere e apprezzare tutto ciò che c'è dietro: l'impegno di chi lavora nella filiera, ma anche le sue proprietà nutritive. Per questo abbiamo voluto fortemente una campagna istituzionale per rilanciare i consumi di questo prodotto che fa parte della nostra tradizione alimentare». Quasi tutto condivisibile, quasi tutto ben detto.
Se di fronte alla Parodi e ad Albertini però la domanda lecita è "ma cosa vuoi che ne sappiano del latte?", davanti ad un cuoco della levatura di Cracco qualche esitazione ci sovviene. E sì, perché il cuoco, che sforna cibo per deliziare i palati dei propri commensali, dovrebbe anche preoccuparsi di nutrire quelli. E di offrire loro dei messaggi utili e ancor meglio educativi. Poi la mente va alle patatine, e allora ci sta anche che, dopo quella per la San Carlo, qualsiasi altra pubblicità lui la possa fare. Ed anche a cuor leggero.
Chi ci stupisce, ministro a parte (quale qualità, ministro? quali proprietà nutritive?), è il professor nutrizionista Giorgio Calabrese. E sì, perché lui le sa le differenze. E pur sapendole, ancora una volta dimostra di non metterle in luce: erba o mangimi, professore? pascolo o stalla a vita? E quale latte, di grazia, finisce nelle confezioni di latte fresco italiano? Queste le differenze e le domande, e il colmo è sempre quello: che mai vengano proposte né dai grandi media, né dai grandi comunicatori. Un atteggiamento forse teso a favorire qualcuno?
Al di là di questi leciti dubbi – che spalancano la porta a inquietanti certezze – un po' c'è da capirlo il professore, e qualche lancia a suo favore va spezzata, ci mancherebbe altro! Sempre a parlare di alimentazione in tivù, non dev'essere impresa facile. Bisogna informarlo e formarlo, il consumatore. Anche se si rischia di conformarlo, l'importante è poi, di fondo, non spaventarlo. Ecco allora che si percepisce il senso vero del media televisivo: la tivù deve educare abbastanza (ma non troppo) e confortare più che può. Deve sostenere (anche i consumatori ma non solo!) ed aiutare ciascuno a svolgere il proprio ruolo sino in fondo: si industrino gli industriali (a vendere) e si impegnino i consumatori a consumare. Tutto qua e non abbiamo di certo scoperto l'acqua calda.
Certo che poi, ci viene da sorridere a pensare a cosa sarebbe stata la tv se al posto del professor Calabrese ci fosse stato per anni Roberto Rubino (l'ideatore del Latte Nobile, prodotto da erba e fieni polifiti) a raccontare di latte agli italiani. L'Italia del latte sarebbe stata di certo migliore, e gli italiani da anni parlerebbero di "latti" e non di "latte" (non è un unicum!). Ne conoscerebbero valori e disvalori. E saprebbero scegliere.
Cosa accade se si dice la verità in tivù
Forse in pochi lo ricordano, ma Rubino ci andò a parlare di latte in tivù. Era il febbraio del 2009, la trasmissione Unomattina (il contenitore a cui Calabrese deve la sua popolarità) e Rubino, invitato a parlare di latte, pensò bene di raccontare dei buoni latti dei pascoli, delle grandi differenze tra quelli e i latti industriali, oltre a sottolineare le proprietà del buon latte crudo e di rimando far capire le differenze tra quello e il pastorizzato. Bene, anzi male: dopo pochi giorni, a seguito delle polemiche che da quelle sue affermazioni divamparono, Rubino dette le dimissioni da direttore del Centro per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura di Monterotondo e se ne tornò a Bella, dove era stato direttore del Cra-Zoe. A qualcuno non era piaciuto sentir parlare di latte in quel modo e pensare che milioni di italiani avessero sentito quelle parole. Dietro questo piccolo aneddoto – piccolo ma efficace – c'è quanto di peggio ci si possa aspettare dalle istituzioni, dagli apparati e da chi li governa, e dai media nazionali in genere. Più sono grandi, più sono interessati a tacere. E a mistificare.
Dissentire è lecito ma che non si sappia troppo in giro
"I Rubino e i Mariotti" (mettiamoci di mezzo anche il nostro direttore, già che ci siamo, ndr), sembra dire "qualcuno", "restino pure nell'ombra, e parlino pure, ma senza gridare". La massa dei consumatori deve consumare. E quelli tra di essi che sono o credono di essere consapevoli, cerchino le loro soluzioni per una vita dignitosa, in cui il cibo non rappresenti più e mai una fonte di rischio per la salute ma torni a recitare il ruolo di nutriente e fonte di vita. Il consumatore attento e consapevole ha di fronte un percorso difficile, tempestato da insidie più o meno visibili e da ingannevoli miraggi. Difficile fidarsi appieno di strumenti che, nati per garantire il consumatore, sono stati trasformati in macchine da guerra per la tutela degli interessi industriali (pensate a quanti scandali si susseguono, sempre più incessantemente toccando quelli che dovrebbero essere i "fiori all'occhiello" del nostro "made in Italy"). E allora? Allora non rimane che informarsi, continuare ad informarsi e a informarsi ancora. Dove? Ovunque ci sia un media che mette davanti a tutto gli interessi veri del consumatore e i valori delle produzioni rurali più autentiche e del cibo sano.
Al consumatore consapevole altro non resta che instaurare rapporti di fiducia con produttori onesti ed etici, ed altrettanto consapevoli. Come era prima delle Dop e degli Igp, come era prima del marchio "Biologico", ci troviamo ancora una volta ad arrangiarci – abbandonati da chi avrebbe dovuto sostenerci – ognuno con le proprie capacità e con i propri strumenti. Il buon latte esiste, il buon cibo pure. Quando lo incontrate acquistatelo, e pagatelo per quello che vale. Ve ne garantirete l'esistenza in futuro.
30 maggio 2016
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