Ci eravamo rallegrati, appena dieci giorni fa, io e alcuni colleghi e amici sensibili al cibo “buono, pulito e giusto ma per davvero” (Michele Corti del blog Ruralpini e Antonio Neri del mensile Alimenta), del cambio di sponsor che in questo Cheese 2011 vedrà il nome del Grana Padano (uno degli emblemi del formaggio da zootecnia intensiva) soppiantato da quello della “filiera ecosostenibile” del Gran Moravia di Brazzale. “Un prodotto ecosostenibile”, c’eravamo detti, “che finalmente sostiene e concorda con la condivisibile bontà della teoria slowfooddiana”.
Mai rallegrarsi troppo in questi casi, e manco a dirlo che passano tre giorni e salta fuori (ne parleremo qui prossimamente) che neppure quel formaggio è indenne dall’uso della “proteina naturale” lisozima, “necessaria” – a detta degli utilizzatori – “per produrre formaggio” quando l’alimentazione delle bovine prevede il ricorso agli insilati di mais.
Peccato vedere ancora una volta che il predicare bene dell’associazione braidese (di cui rimarremo forti sostenitori per il buon lavoro di salvaguardia di molti produttori rurali e leali) viaggi di pari passo con il razzolare a volte in maniera a nostro avviso un po’ più approssimativa. E peccato ancor più che il lavoro meno nobile delle public relation interaziendali (lo diciamo senza ironia in quanto necessario, viste le dimensioni dell’impresa), sempre spettato a figure secondarie nell’associazione, oggi sfiori il “leader maximo” Carlin Petrini, che nei giorni scorsi ha fatto visita alla Lattebusche lasciando che i media locali enfatizzassero il suo giudizio positivo sulla cooperativa bellunese (un video di YouTube è visionabile cliccando qui).
Peccato perché, a pochi giorni dall’inizio del Cheese vedere il guru del movimento agroalimentare più condivisibile che c’è affiancare il proprio volto a quello di un marchio commerciale del settore caseario ci colpisce assai in basso e ci appare quanto di meno felice potesse accadere.
16 settembre 2011