Il protocollo CReNBA non basta più: in arrivo la sesta libertà per gli erbivori?

L’illustrazione di copertina della guida sul benessere animale pubblicata da CiWF

Gli italiani sono attenti alla qualità  della vita degli animali da reddito. A raccontarcelo è CiWF Italia, l’associazione che negli ultimi anni ha legato il suo nome al “Premio Benessere Animale” (assegnato ad aziende del calibro di Amadori, Barilla, Pavesi, etc.) e alle cosiddette “5 libertà  delle bovine da latte”, il programma di promozione basato sul protocollo CReNBA (Centro di Referenza Nazionale per il Benessere Animale), a cui hanno aderito tra le altre Fattorie Osella e Centrale del Latte di Torino.

Stavolta l’associazione, sempre più attiva nella comunicazione e nel marketing di settore, ha commissionato un sondaggio alla britannica YouGov, traendone dati che sembrano interessanti, visto che il 54% degli italiani si dichiara “molto disposto” a pagare il 10% in più per acquistare prodotti ottenuti da animali allevati all’aperto, e che il 33% dice di essere quantomeno “abbastanza disposto”. Vale a dire che, sommando i due dati, il 92% degli intervistati sarebbero pronti a segnare un vero cambiamento nel mondo dei consumi, e quindi ad incidere sul sistema di produzione alimentare. Se solo le etichette raccontassero qualcosa in più rispetto a ciò che dichiarano oggi.

Peccato però che il termine “allevato a terra” non garantisca nulla di particolarmente importante al consumatore: né che l’animale viva in maniera naturale, all’aperto, né che si nutra di erba, ma molto più semplicemente che esso possa vivere fuori dalle gabbie o dalla stabulazione fissa che sino a qualche anno fa erano la regola e che oggi sono ancora largamente praticati, purtroppo (il 66% di galline ovaiole è in regime intensivo, come il 95% del pollame da carne e il 98% dei suini). Da questo punto di vista i dati sono impressionanti anche per il segmento “latte”, visto che – assicura CiWF – “l’80% dei 2,8 milioni di bovini da carne e bufalini” sono allevati in maniera industriale e del tutto innaturale.

I dati, argomentati e commentati, sono pubblicati nella “Guida al consumo consapevole”, pubblicata dall’associazione, che ancora una volta nel fare comunicazione non dimentica di sciorinare i nomi delle “grandi firme” che sono state premiate per aver migliorato (magari di poco e solo in parte) il loro operato.

Attenzione però perché le buone intenzioni degli italiani potrebbero essere insufficienti, di fronte ad etichette che ancora non raccontano tutto, o che per meglio dire sembrano fatte ad arte per celare le questioni davvero importanti (è un latte italiano, bene, ma come viene prodotto?, ndr). In pubblicità poi, il claim “Benessere animale in allevamento”, già  utilizzato per prodotti lattiero-caseari da aziende che rispettano semplicemente gli standard del protocollo CReNBA, non implica necessariamente che le vacche siano in condizioni di completo benessere. Ne parlammo qui nel mese di maggio, sottolineando che le 5 libertà enunciate non sono tutte quelle di cui una vacca deve godere.

“Il protocollo del CReNBA”, spiega oggi CiWF, “riporta il livello medio di gestione dell’allevamento, del benessere delle vacche e della biosicurezza”, ma tra il tracciare la condizione esistenziale all’interno di una stalla e il parlare di vero benessere animale le differenze sono non poche e non marginali (come sottolineammo, il CReNBA non dà importanza né alla libertà della vacca di pascolare né a quella di scegliere, brucando, cosa mangiare, ndr).

Nel sostenere questo, CiWF alza l’asticella, almeno apparentemente, preparandosi a chiedere alle industrie ciò che le industrie non potranno mai garantire (un ettaro di pascolo ogni vacca: quando mai?, ndr). Prepariamoci quindi a vedere cosa ci racconteranno in futuro i paladini del marketing in tema di diritti animali: basteranno forse un po’ di foto o un video a testimoniare un eventuale “quarto d’ora d’aria” al giorno per proclamare i futuri campioni del benessere negli allevamenti italiani?

Il ripensamento di CiWF sulle vacche da latte

Sorprende leggere ora nella guida di CiWF che “Il benessere delle vacche da latte non è rispettato se gli animali sono privati della possibilità di pascolare, il che significa che anche i migliori sistemi al coperto non possono garantire il benessere completo delle vacche”. Sorprende perché non più tardi del maggio scorso le 5 libertà (escluso il pascolo) sembravano sufficienti, per CiWF, all’epoca del lancio della campagna sul Benessere animale sostenuta dall’associazione a supporto di Fattorie Osella. O due mesi prima per un’analoga azione operata per la Centrale del Latte di Torino.

Come se ciò non bastasse, la “Guida al benessere Animale” di CiWF mette in guardia i lettori da quanto la medesima associazione ha sempre detto negli ultimi mesi. Leggere per credere: “Attenzione”, recita la guida, “il claim “Benessere animale in allevamento”, che può essere utilizzato sui prodotti lattiero-caseari dalle aziende che rispettano gli standard del protocollo del CReNBA (Centro di referenza nazionale per il benessere animale), non implica necessariamente che le vacche siano in condizioni di completo benessere. Infatti il protocollo del CReNBA restituisce una sorta di fotografia del livello medio di gestione dell’allevamento, benessere delle vacche e biosicurezza. Ma tra tracciare lo stato della stalla e parlare di benessere animale c’è molta differenza”. Buono a sapersi, laddove appena pochi giorni orsono (il 15 settembre al Cheese di Bra, la dottoressa Elisa Bianco di CiWF è intervenuta in un incontro sul sistema Inalpi-Ferrero introdotto proprio dal concetto delle “5 libertà”) il protocollo del CReNBA è stato di nuovo esaltato.

In attesa degli sviluppi di questo discutibile fare, godiamoci le dichiarazioni della direttrice di CiWF, Annamaria Pisapia: «Speriamo che anche il Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, accanto alla legittima azione per ottenere l’indicazione dell’origine in etichetta, cominci presto a lavorare anche su un’etichettatura chiara e trasparente secondo il metodo di allevamento per tutte le specie allevate, attualmente ancora non esistente nel nostro Paese».

«Anche se solo su base volontaria», conclude la Pisapia, «essa sarebbe di importanza fondamentale contro la comunicazione fuorviante di certa industria alimentare (sic!) e per lasciare veramente ai consumatori la possibilità di contribuire al miglioramento del benessere animale tramite le loro scelte di acquisto». A pensare ancora una volta ai nomi della aziende che hanno ricevuto da CiWF il “Premio Benessere Animale” (clicca qui per leggere chi ha vinto in questi ultimi anni) ogni dubbio e incredulità sono palesemente leciti per chi eserciti il beneficio del dubbio.

25 settembre 2017

La “Guida al Consumo Consapevole” di CiWF è scaricabile cliccando qui