
Il Fai – Fondo Ambiente Italiano – li chiama “Luoghi del Cuore”, e li tutela e valorizza dal 2003 attraverso un censimento biennale in cui chiede a tutti gli italiani di votare i piccoli e grandi tesori che amano e che vorrebbero preservare. I Luoghi del Cuore sono piccoli e grandi, famosi e sconosciuti: “possono essere”, spiegano alla fondazione, “la piazzetta del tuo primo bacio, il borgo dove correvi da piccolo, la spiaggia che hai amato, la vista che ti ha riempito di felicità”.
Tra di essi, uno in particolare ci colpì quando venne istituito – uno degli attuali 92 Luoghi del Cuore esistenti in 17 regioni italiane – in quanto anche per noi è carico di significati, valori ed emozioni. Quel luogo è un alpeggio, ma non un alpeggio come tanti. Si chiama Trona Soliva, è in Val Gerola, e per lungo tempo è stato caricato dalla famiglia di Mosè Manni, il pastore-simbolo dell’allora Bitto Storico, da tre anni ormai Storico Ribelle.
Un testamento che garantisce “formaggio e pane per tutti”
Un alpeggio che ha una sua particolare e nobile storia da raccontare: la vicenda del “Legato Bedolino”, il lascito testamentario, risalente al XVI secolo, con cui l’allora proprietario dell’alpeggio – Pietro De’ Mazzi, detto appunto Bedolino – stabilì che alla sua morte metà del monte di Trona – oggi Trona Soliva – sarebbe stato conferito alla comunità di Gerola, ad una condizione. Una condizione assai apprezzabile, già che “i proventi derivati dal monte avrebbero dovuto essere convertiti, dai consoli e dagli amministratori di detto comune, in perpetuo, in equivalenti quantità di pane e di sale (allora un bene di rilevante importanza, ndr)”.

Pane e sale che sarebbero stati distribuiti equamente a tutti gli uomini di qualunque condizione e a tutte le famiglie del comune, ogni anno, egualmente, “secondo la consuetudine del luogo”. La consuetudine, ovvero le condizioni, vennero poi definite nell’anno 1600 dall’assemblea del paese, che stabilì le modalità di esecuzione del testamento: con una distribuzione di pane e formaggio ogni 2 di novembre e una di sale, nel giorno di San Martino, l’11 dello stesso mese. Da allora, per 474 anni e sino ad oggi, l’usanza si è sempre ripetuta, assurgendo alla condizione di celebrazione e rappresentazione storica e identitaria di un’intera comunità.
Un lascito inscindibile dai valori di un tempo
Ed è una storia, questa del Legato Bedolino, ben più straordinaria di quanto possa emergere da questo racconto e da questa consuetudine. State a sentire come il Fai presenta quel “Luogo del Cuore” sul suo sito web “Fondo Ambiente”: “L’alpe Trona Soliva più di altre rappresenta uno straordinario museo all’aperto delle pratiche di alpicoltura e caseificazione. Sono presenti strutture in pietra a secco quali i calecc, dove tutt’ora si lavora il latte per la produzione del Bitto storico, i barek (per il raduno della malga di vacche da latte), le murache (cumuli di pietre ricavate dallo sfruttamento dei pascoli), le piccole capanne dei pastori che sorvegliavano di notte il bestiame”, aggiungendo poi che “Il grande valore dell’Alpe Trona Soliva consiste nella continuità millenaria dell’utilizzo del pascolo e dalla perpetuazione di pratiche quasi ovunque abbandonate” (per la lettura del testo integrale si clicchi qui).
Parole, quelle scritte dai responsabili del Fai, che forse non sono mai state lette dagli amministratori che hanno governato il paese in questi ultimi anni. O che più probabilmente sono state da loro “solo” prese sottogamba, visto che da tre anni a questa parte quell’alpeggio (non è più caricato dai Ribelli del Bitto, ndr) non ha più garanzia d’essere gestito secondo le pratiche d’uso naturali, tramandate di padre in figlio, per migliaia di anni.
Mangimi in un “Luogo del Cuore” del Fai?
In altre parole c’è da chiedersi se un monte con dei buoni pascoli come quelli di Trona Soliva sono, ricevuto in lascito per un tal nobile fine, possa essere affidato a chi anche solo in teoria ha facoltà di alimentare le proprie bestie con i mangimi. C’è da domandarsi e domandare: cosa ne sarà negli anni degli erbai di quel monte, se gli animali saranno portati ad impigrirsi davanti ad una mangiatoia ben piena? Potremo ancora parlare di biodiversità in maniera appropriata? E le capre Orobiche, identitarie e a rischio d’estinzione – elemento decisivo di quei paesaggi quando Trona Soliva ricevette l’attestato di “Luogo del Cuore” – torneranno mai a restituire a quei luoghi l’originaria dignità?
La risposta è “no”, probabilmente no, a meno che l’amministrazione locale non decida di superare la contrapposizione espressa in più occasioni al capo dei “Ribelli”, Paolo Ciapparelli, “reo” forse di aver mantenuto viva una produzione integra che il mondo ci invidia.
Che prospettive per un paese che rinneghi le sue stesse tradizioni?
Cosa sarebbero state (potrebbero essere) Gerola e il suo comprensorio se si fossero portati a frutto l’interesse, l’ammirazione e il consenso che il mondo continua a manifestare ai produttori dello Storico Ribelle? Quanto turismo in più, e di quale levatura, sarebbe stato interessato agli altri prodotti del territorio, ai contesti in cui essi nascono, ai loro significati e valori?
Tutto ciò, e tutti i vantaggi che ne sarebbero derivati per l’intera vallata e per i suoi abitanti sono stati così rifiutati: attorno allo sbarramento operato nei confronti di chi ha avuto la “colpa” di mantenere la schiena dritta nei confronti della barbarie agroindustriale si vede oggi un territorio che turisticamente non decolla, in cui artigiani anche valenti (solo pochi anni fa a Gerola si producevano i veri pezzotti artigianali, ndr) si son visti costretti a chiudere le loro attività. Una situazione recuperabile? C’è da sperarlo, anche se al momento una via d’uscita non s’intravede.
Pensare questo, crederlo fermamente, navigare in rete in cerca di ulteriori informazioni e scoprire che, a tre anni di distanza dal cambio di nome del prodotto (da Bitto Storico a Storico Ribelle), inevitabile per salvaguardare una produzione tradizionale ed ecosostenibile e per difendere la sua storia, il sito web dell’Ufficio Turistico “Valgerola Online” (a cui fanno capo tutti gli enti locali: l’Ecomuseo della Valgerola, la Pro Loco di Gerola Alta e tutti i Comuni della valle) si ostini a non riconoscere ancora il cambio di nome intrapreso, lascia più che perplessi e getta nello sconcerto.
Suscita in noi incredulità e profonda indignazione vedere come i responsabili di un mezzo di promozione ufficiale del territorio – che dovrebbe sostenere oltre ai paesaggi le sue attività produttive, magnificandone i pregi – si ostinino a rinnegare le legittime scelte di chi altro non ha fatto che difendere il proprio passato e il proprio presente dalle aggressioni dell’agroindustria e dai rischi della globalizzazione.
Una scelta, quella di Valtellina Online e dei suoi artefici, che lascia intendere l’accettazione incondizionata di pratiche produttive devastanti, in un territorio così fragile come quello montano: con i mangimi che cancelleranno la biodiversità, i fermenti lattici industriali che già standardizzano il gusto, e l’assenza della capra Orobica che impoverisce i paesaggi.
Dove vuole andare la Valgerola?
Dove vuole andare la Valgerola se calpesta la propria storia, trincerandosi dietro un atteggiamento tanto omertoso, che nega alla gente il sacrosanto diritto all’informazione? Quali prospettive di crescita può garantire al proprio territorio una gestione di questo tipo?
E poi, passando a chi in quel territorio vive, perché in occasione delle elezioni amministrative i cittadini continuano a votare certi personaggi, se vedono (e lo vedono) che il successo dello Storico Ribelle – rilevantissimo – non si porta a frutto per il bene dell’intera comunità? È così difficile immaginare che la moltitudine di gente proveniente da tutto il mondo (in due recenti visite abbiamo visto clienti arrivare da Francia, Croazia, Belgio, Stati Uniti e Australia, ndr) nella sede dei Ribelli per degustare, capire e comperare un formaggio divenuto leggenda, potrebbe – se ben gestita – portare benefici a tutto e a tutti?
È tanto complesso pensare che solo accogliendo, sostenendo e magnificando l’operato degli unici e veri eroici produttori lo straordinario interesse di così tanta gente confluirebbe nel bene comune del territorio e nel futuro collettivo? Gerolesi, lo capirete prima delle prossime elezioni?
11 novembre 2019