Caciocavallo Podolico: quanti passi da compiere ancora per un'adeguata valorizzazione? |
di Rosa Tiziana Procopio, dottoressa in scienze e tecnologie agrarie
Con il secondo termine invece - Silano - si identifica l’unico caciocavallo Dop prodotto secondo le disposizioni del regolamento Ce n.1263/96 (clicca qui per leggerlo), in cui si certifica e caratterizza "il" Caciocavallo Silano Dop, realizzabile nelle medesime regioni di cui sopra, escluso l’Abruzzo (per il disciplinare del caciocavallo Silano Dop clicca qui). Una siffatta confusione deriva dalla caotica evoluzione storica che caratterizza la razza bovina Podolica - associata a questo formaggio, e il formaggio stesso - per la mancanza di uno specifico disciplinare di produzione che li accomuni l'una all'altro. Ma vediamo di fare un po' di chiarezza. Nei primi anni dell’800 iniziò il processo evolutivo delle “razze di cultura” intese come razze selezionate e ritenute geneticamente pure. L’andamento sul territorio italiano si distinse - come spesso ancor oggi accade - in tre areali: Nord con razze da carne e latte; Centro con razze da carne e lavoro; Sud con razze principalmente da lavoro (nel Sud venivano inclusi il basso Veneto, in cui era presente la cosiddetta "Pugliese del Veneto", scomparsa negli Anni '60, e la Maremma Toscana, con la razza "Maremmana", anch'essa con qualche nesso di origine con la Podolica). Accadde così che alla fine del secolo Romagnola e Chianina (Nord e Centro), spiccarono per importanza produttiva e prestigio, mentre Maremmana e Podolica (Toscana e Sud), rimasero legate ad un’agricoltura povera, caratterizzata da una modesta cerealicoltura, come razze da lavoro. Ma è nel '900 che la Maremmana comincia ad acquisire valore anche come razza da carne, mentre la Podolica appare irrimediabilmente “marchiata” quale razza da lavoro.
Fortunatamente, e per la determinante opera del Ministero delle Politiche Agricole, dieci anni dopo la razza Podolica fu inclusa nel tra le razze bovine a prevalente produzione di carne, primo gradino di una successiva opera di selezione e miglioramento per l’incremento della consistenza di razza: ci volle il 1985 per raggiungere l’istituzione del Libro Genealogico di razza, con l’iscrizione nello stesso anno di 34.121 capi.
Riconosciutone il pregio e la qualità organolettica, nel 1954 (legge 10 Aprile 1954, n.125) venne esteso l’utilizzo di denominazione protetta e indicazione geografica tipica anche ai formaggi, tra cui il Caciocavallo appunto, indicandone esclusivamente l’areale di produzione e il comitato nazionale di tutela. Da qui, nell’anno successivo, tramite Dpr 30 ottobre 1955, n.1269, il prodotto venne ufficialmente incluso nella lista delle “Denominazioni tipiche italiane”. Tramite questi due provvedimenti, si ottenne una “spontanea” partizione in aree di produzione. Le regioni che producevano Caciocavallo erano quelle meridionali (per la spiccata capacità di razza di utilizzare e sfruttare anche e soprattutto i territori impervi che caratterizzano vaste aree del Sud), le stesse e le uniche che allevavano i bovini di razza Podolica. Da qui l’associazione del termine "Podolico" al Caciocavallo.
In buona sostanza, si può affermare che le produzioni di pregio qualitativo e/o anche solo tradizionale, sono sempre state perseguite e tramandate da chi in prima fila ne è stato coinvolto. Molto spesso ci si allontana dalla “tipicità” del prodotto, dal termine “locale” preferendo il mero guadagno piuttosto che una reale ed apprezzabile qualità (autenticità?) del prodotto. Così è stato negli anni passati, in cui della stessa agricoltura si aveva una megalomane visione tipicamente industriale, andata via via scemando nel tempo. Oggi si ha un ritorno al concetto di qualità reale anche in ragione di alcuni mutamenti del mercato dei consumi, che ha rivelato una maggiore attenzione e sensibilità verso la sostanza delle cose. È il momento di guardare indietro pensando d’aver sbagliato a rischiare l’estinzione per un prodotto così buono e apprezzato da resistere negli anni, nonostante tutto. È il momento di riqualificare queste produzioni, in quanto “Podolico” per il legame con la razza più spiccatamente adatta, e in quanto “Silano” per la certificazione che il prodotto finale merita. È il momento di incoraggiarne la produzione con strumenti e strutture capaci di consentirne la crescita e il futuro. Ma quali? - favorire le produzioni di Caciocavallo Podolico Dop: unendo il legame di razza alla certificazione di qualità - favorire produzioni da latte di bovine Podoliche valorizzandone la sua superiorità (più ricco di grassi e proteine adatti alla caseificazione) - creare tra le aziende una cooperazione regolamentata da un unico disciplinare di produzione tra le stesse, abbattendo i costi di produzione, e costituendo un consorzio di garanzia - commercializzarne il prodotto mediante unico marchio che accomuni tutte le regioni produttrici già incluse nei provvedimenti normativi (aggiungendo l’Abruzzo, in cui nell’ultimo decennio si è avuta la migrazione di nuove mandrie), ma che consenta al consumatore di riconoscere con più facilità il vero prodotto "Caciocavallo Dop". Quattro tasselli, per un unico vero prodotto, distinguibile anche dai non addetti ai lavori. Rimane da chiedersi: perché una razza locale dalle pregiate produzioni viene ancor oggi non tutelata e “abbandonata”? E’ possibile una valorizzazione proporzionata e positiva anche per i territori che caratterizzano la razza Podolica e il Caciocavallo? Lo vedremo in un altro articolo su queste stesse pagine. Continuate a seguirci!.
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7 maggio 2015
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