“Latte: quale futuro per un alimento antico” è stato il titolo di un interessante convegno tenutosi a Cagliari il 21 e 22 gennaio scorsi, e organizzato dall’Istituto Zooprofilattico della Sardegna. Due giorni di lavori fruttuosi, in cui alcuni tra i massimi esperti del settore si sono alternati al banco dei relatori per fare il punto sul mercato mondiale e su quello europeo del latte, sulla filiera lattiero-casearia nel nostro Paese , sull’aspetto microbiologico, sugli standard di sicurezza, sul ruolo dei media a proposito di allarmi alimentari, e sul rischio chimico nei prodotti lattiero-caseari.
Quest’ultimo aspetto della questione è apparso particolarmente interessante, in quanto proposto dal suo relatore – Gianfranco Corgiat Loia – in una prospettiva finalmente ampia ed esauriente, che ci si auspica possa essere recepita a livello nazionale per giungere presto ad un’adeguata gestione locale delle interazioni tra produzioni (agrozootecniche e lattiero-casearie) e ambiente, tra fonti inquinanti (insediamenti industriali, discariche, etc.) e realtà produttive del comparto agroalimentare (agricole, zootecniche, etc.).
Il rischio chimico nei prodotti lattiero-caseari
di Gianfranco Corgiat Loia, veterinario all’Assessorato Sanità della Regione Piemonte
Il concetto di sicurezza alimentare
Il passaggio al nuovo millennio ha segnato un’importante e radicale svolta nelle politiche di sicurezza alimentare dell’Unione Europea. Mentre in molte parti del mondo la sicurezza alimentare è ancora il raggiungimento del fabbisogno alimentare e nutrizionale, in Europa il tema della sicurezza alimentare è via via evoluto assumendo significati nuovi orientati ad assicurare un elevato standard di tutela sella salute dei consumatori e ad assecondare anche aspettative legate a sistemi valoriali diversi da Stato a Stato.
L’allargamento dell’Europa ha indubbiamente contribuito ad accentuare le differenze del significato “sicurezza alimentare”: da una parte i Paesi con una forte tradizione agro-alimentare (principalmente quelli del bacino mediterraneo), dall’altra i nuovi Paesi annessi dopo la caduta dell’impero sovietico o dopo la guerra dei Balcani, molto più simili, sotto il profilo rurale e socio economico, all’Italia del dopoguerra che all’Italia di oggi.
Tra rischio reale e rischio percepito
Certo è che la forbice tra rischi reali ed il rischio percepito è ancora molto ampia e gli stati di ansia e la diffidenza di molti consumatori confermano la necessità di migliorare le forme di comunicazione del rischio e il coinvolgimento dei cittadini nelle politiche di sicurezza alimentare.
Nel recente passato i consumatori sembravano essere più preoccupati delle malattie alimentari causate da microrganismi caratterizzate da un rapporto causa/effetto più certo (che nella maggior parte dei casi consente di individuare le cause e di perseguire i colpevoli). La credibilità del sistema dei controlli pubblici faceva sì che gli episodi di malattia collegati con certezza al consumo di alimenti deteriorati i sofisticati rappresentassero un indicatore di efficienza dell’organizzazione, capace di intervenire nell’emergenza, di rimuovere le cause e di punire i colpevoli.
L’intossicazione alimentare era per il cittadino una notizia di cronaca come la rapina ad una banca: in entrambi i casi si metteva in evidenza la capacità di intervento dell’organo di controllo nel circoscrivere il problema e nel perseguire i responsabili.
Oggi, invece, si tende ad evidenziare l’inefficienza del sistema dei controlli, l’inadeguatezza degli strumenti di prevenzione, la presenza di incognite a cui la stessa scienza sembra non saper rispondere, l’inaffidabilità dei controllori sospetti di essere collusi, il conflitto di interessi e l’invadenza della politica nelle decisioni tecnico/amministrative.
Il ruolo dell’informazione indipendente
In altre parole è venuta meno la credibilità del sistema preposto alla tutela dei consumatori. Ansia, diffidenza, ricorso a improbabili esperti (poiché tutti mangiamo siamo tutti esperti!), protagonismo mediatico sono una miscela di stati d’animo negativi che rendono difficile il ripristino di un rapporto fiduciario tra consumatori e pubblici controllori.
Il problema sembra tanto più grave quanto più è carente l’informazione indipendente. E’ un problema culturale. Passare da un sistema virtuale che comunica un rassicurante quanto falso “rischio zero” ad una sistema reale che, forte dell’applicazione dei nuove tecnologie e di nuove tecniche è in grado di trovare tracce di qualsiasi sostanza estranea e di qualsiasi entità biologica, fino a frammenti di DNA. Biologia molecolare (PCR) e gas massa ad alta risoluzione rappresentano rispettivamente per la biologia e per la chimica strumenti analitici così raffinati da permettere un salto di qualità notevole nelle politiche di prevenzione sanitaria eppure, questo è un paradosso, ogni passo in avanti rappresenta un’ansia in più per i consumatori, non una rassicurazione sulle capacità dei laboratori e del sistema pubblico dei controlli.
C’è molto da fare! E non solo nei confronti dei consumatori: anche la Magistratura fa fatica a capire la differenza tra prevenzione e repressione, tra chi applica con scrupolo e metodo l’HACCP e chi considera l’autocontrollo un adempimento formale o un inutile balzello oneroso.
Eurobarometro ha recentemente pubblicato i dati di un sondaggio europeo sulla percezione dei rischi e sulle preoccupazioni dei consumatori e, per la prima volta, emerge un’ansia maggiore per il rischio chimico rispetto allo spauracchio, pur sempre presente, del rischio biologico.
La gestione del rischio
Da una parte si assiste alla riduzione della forbice tra rischio reale e rischio percepito, dall’altra si apre una nuova stagione nelle politiche di gestione del rischio che saranno sempre più difficili e richiederanno maggiori capacità di comunicazione.
È il caso del rischio chimico nel latte.
Occorre innanzitutto non fare confusione tra pericoli e rischi: il consumatore non ha ancora ben capito la differenza. Si è disposti a rischiare di più in alcuni settori (come nel caso dei trasporti aerei o terrestri) e poco o nulla in altri (tra questi la sicurezza alimentare).
E’ certamente un problema di cultura e di comunicazione ma proprio per questo occorre sviluppare capacità e conoscenze che non sono ancora presenti nel sistema pubblico dei controlli.
Il latte è un alimento importante nella dieta quotidiana di milioni di consumatori e l’attenzione ai requisiti di sicurezza alimentare deve essere particolarmente elevata perché il latte rappresenta l’alimento base dei neonati e dei bambini.
I contaminanti ambientali
Molti contaminanti chimici ambientali entrano nella catena alimentare ed hanno tendenza al bioaccumulo, soprattutto le sostanze lipofile o liposolubili che si concentrano lungo la catena alimentare fino a raggiungere il latte materno e, quindi, i neonati ed i lattanti.
La secrezione del latte è occasione di passaggio di altri contaminanti chimici altrettanto pericolosi che possono derivare dall’alimentazione (come nel caso delle micotossine e di pesticidi usati in agricoltura), da trattamenti farmacologici leciti non seguiti da adeguata sospensione o da trattamenti illeciti che possono riguardare anche le fasi post mungitura.
L’elenco dei pericoli è lungo ma in normali condizioni di allevamento i rischi sono molto bassi e possono essere ben controllati. Qualche preoccupazione in più è data invece dalla presenza di attività industriali inquinanti o da pratiche agricole e zootecniche “aggressive” che, in alcuni casi, per ora abbastanza circoscritti, hanno determinato e potrebbero ancora determinare l’accumulo di sostanze chimiche nel latte.
Altro rischio potenziale, benché circoscritto, riguarda gli allevamenti di bovine allevate in aziende vicine a fonti contaminanti. E’ il caso di allevamenti che sorgono nel raggio di pochi chilometri da inceneritori, da acciaierie o da impianti petrolchimici nei confronti dei quali i Servizi di Sanità pubblica delle ASL devono porre particolare attenzione pur sapendo che i miglioramenti nella gestione aziendale e l’adozione di particolari cautele non sono sempre sufficienti a fornire adeguate risposte ai consumatori.
In questi casi occorre trovare intese con gli agricoltori per la ricerca delle soluzioni più adatte alla prosecuzione dell’attività, ferma restando la necessità di interrompere la fonte della contaminazione ambientale.
27 gennaio 2011