4 febbraio 2009 – Una mucca che non sia un “numero”, ovvero a cui sia stato dato un nome e che venga trattata con attenzione e riguardo, produce più latte di una trattata altrimenti. Ancora una volta una ricerca scientifica attesta la superiorità degli allevamenti tradizionali e rurali nei confronti di quelli industriali.
Lo ha appurato il team di ricercatori dell’Università di Newcastle (Gran Bretagna) guidato dai professori Catherine Douglas e Peter Rowlinson, al termine di un lungo e approfondito studio che è stato pubblicato sull’ultimo numero della rivista accademica Anthrozoos.
Il lavoro ha rivelato quindi che una conduzione “all’antica” dell’allevamento può portare ad un aumento medio delle rese pari a 285 litri annui per capo, vale a dire a un litro circa al giorno in più da ciascuna mucca.
L’articolo racconta che – al di là del nome attribuito ad ogni singolo animale – la sostanza cambi in ragione di un rapporto individuale, e non di gruppo, con l’allevatore. «Proprio come gli esseri umani, gli animali rispondono meglio ad un contatto personale che impersonale», spiega la dottoressa Douglas, che lavora alla Scuola di Agricoltura, Cibo e Sviluppo Rurale dell’Università, «e questo le rende evidentemente più “felici” e rilassate».
«Instaurando un rapporto individuale con ogni singola mucca», precisa la Douglas, «chiamandola per nome e interagendo nel tempo durante la sua crescita si migliora il benessere dell’animale e la percezione che esso avrà degli esseri umani. Questo ha lo straordinario potere di incrementare la produzione di latte».
Lo studio condotto dal team dei professori Douglas e Rowlinson si è basato su un campione di 516 allevatori, che sono stati intervistati a proposito di come gli esseri umani possono influenzare la produttività, il comportamento e il benessere delle mucche da latte.
Il 46% degli intervistati ha dichiarato che le mucche nella propria azienda sono chiamate per nome, mentre il 66% ha affermato di essere in grado di riconoscerle una ad una all’interno della propria mandria. Il 48%, inoltre, è concorde nel ritenere che un contatto positivo con gli le persone induce le mucche ad avere una migliore attitudine alla mungitura. Al contrario, dicono gli interessati, la paura degli esseri umani è in genere accompagnata da una bassa produzione di latte.
In sostanza, lo studio degli accademici di Newcastle non propone risultati né innovativi né tanto meno rivoluzionari, ma serve a ricordarci – documentandolo – che per ottenere di più da un animale (senza strafare) più che una genetica e un’alimentazione spinte basterà trattarlo come un essere vivente. E non come una cosa.