Colture lattiche: alcuni aspetti tecnici

Colonia di batteri lattici nel formaggiodi Massimo Pes(*) – Prima di descrivere le caratteristiche specifiche delle colture lattiche è opportuno fare alcune considerazioni generali. Le colture lattiche, utilizzate nella produzione dei formaggi e dei prodotti fermentati a base di latte, nel linguaggio tecnico sono comunemente definite “starter cultures” o semplicemente “starter”, dall’inglese “start”, letteralmente “inizio, partenza”, in quanto capaci di avviare e successivamente condurre il processo di fermentazione lattica. Tale caratteristica costituisce il requisito fondamentale per tutte le colture lattiche. Una buona coltura deve essere in grado, non appena aggiunta al latte in lavorazione, di avviare rapidamente la fermentazione del lattosio e la conseguente produzione di acido lattico. Questa attività, definita “attività acidificante”, deve essere sufficientemente rapida, per poter contrastare lo sviluppo della microflora anti-casearia, inevitabilmente presente nel latte in lavorazione se trasformato senza un preventivo trattamento termico, continua e senza latenze per poter incidere efficacemente sulla sineresi della cagliata (spurgo del siero), fino al raggiungimento del valore di acidità prestabilito in relazione alla tipologia di formaggio.

Normalmente il processo di acidificazione del formaggio viene monitorato mediante l’utilizzo di uno strumento, il pHmetro. In condizioni ottimali il pH del formaggio si evolve, da valori iniziali, prossimi a quelli del latte in lavorazione, (6.60 – 6.68 UpH), fino a valori normalmente compresi tra 4.60 e 5.20 UpH. Generalmente nei formaggi a coagulazione presamica, il processo di acidificazione si svolge quasi del tutto nelle prime ore dalla produzione (da 2.5 a 6.0 ore) e si considera concluso quando viene raggiunto, all’interno della pasta del formaggio, il valore di pH prefissato.

La durata e l’intensità dell’acidificazione dipendono principalmente da tre fattori: caratteristiche microbiologiche della coltura lattica utilizzata (capacità acidificante delle specie batteriche lattiche e loro concentrazione); quantità della coltura lattica aggiunta al latte in lavorazione; caratteristiche della microflora nativa del latte sottoposto alla trasformazione. Naturalmente, non sono secondari gli aspetti connessi alla tecnologia di fabbricazione, che influiscono indirettamente sull’attività della coltura lattica stessa, come ad esempio: la temperatura e l’umidità della cagliata nella fase di formatura, la temperatura e l’umidità dei locali di sosta del formaggio nella fase di acidificazione (locale di stufatura).

In genere nella fabbricazione dei formaggi molli a breve periodo di maturazione (es. Crescenza, Italico, Taleggio, Robiola, Caciotte, etc.), si impiegano colture lattiche capaci di garantire un’acidificazione piuttosto rapida, ma non eccessivamente intensa, (raramente il valore di pH del formaggio alle 24 ore dalla produzione è inferiore a 5.00 UpH). Nella fabbricazione dei formaggi a pasta dura, che osservano un periodo di stagionatura più o meno lungo, (Parmigiano-Reggiano, Grana, Pecorino Romano), si utilizzano invece, colture lattiche che esplicano un’acidificazione più lenta e intensa (il pH del formaggio alle 24 ore dalla produzione generalmente è inferiore a 5.00 UpH). Nella produzione dei formaggi molli, vi è infatti l’esigenza di favorire una sineresi più contenuta, al fine di mantenere all’interno della pasta del formaggio un’adeguata umidità, garantendo nel contempo adeguate caratteristiche reologiche e sensoriali, (struttura più elastica e sapore non eccessivamente acido). Per contro, nei formaggi a pasta dura, l’esigenza è quella di avere una sineresi più spinta e una maggiore acidificazione della pasta, onde migliorare la conservabilità del formaggio durante la fase di stagionatura, favorendo anche la formazione di una pasta con struttura friabile.

 

(*) Massimo Pes- Agris ricerca

Agenzia Regionale per la Ricerca in Agricoltura

 

estratto da Caseus Anno XV n.1 gennaio/febbraio 2010