Si fa presto a dire ”latte”: naturale è meglio

Vacche di razza Modicana al pascolo - foto CoRFiLaC®

di Giuseppe Licitra(*) – Ogni italiano consuma 58-60 litri di latte l’anno, di questi il 38% circa è pastorizzato (il latte viene trattato a 72-75°C per 15-20 secondi), il 60% UHT (141°C per 2 secondi), ed il 2 % di latti speciali. I trattamenti termici aiutano a garantire la sicurezza alimentare del latte, anche se si denaturano alcune vitamine e proteine. Nell’ambito del latte pastorizzato, esiste il latte fresco di alta qualità (circa il 40%), teoricamente il miglior latte disponibile, in quanto in possesso, secondo il legislatore DPR 54/97, di requisiti organolettici ed igienico sanitari superiori.

Un pascolo fiorito dell'altopiano ibleo - foto CoRFiLaCVa detto che inizia ad affacciarsi sul mercato “il latte crudo”, disponibile nelle principali città italiane in specifici distributori, per il quale i controlli igienici sanitari sono maggiori, a tutela del consumatore. Una ristretta, ma crescente, fascia di consumatori è alla ricerca di latti speciali, e cioè addizionati di Omega 3, calcio, vitamine D, nonché latti fermentati ed aromatizzati. Sfortunatamente il consumatore italiano, a differenza degli statunitensi o tedeschi, consuma il 90% del latte a colazione e quasi sempre macchiato con caffé e non come bevanda tal quale, cioè solo latte. Quindi non è in grado di accorgersi che anche il latte fresco definito “politicamente” di alta qualità è privo di gusto, ed è anonimo.

Allora nasce spontaneo chiedersi l’origine di questo latte. Ed in effetti constatiamo che la gran parte del latte alimentare proviene da tutta Italia e anche dall’estero, da allevamenti intensivi ad alta produzione, che pur garantendo un adeguato comfort a queste vacche campionesse per quantità e qualità “politica”, le stesse non sono più libere di pascolare, di godersi la natura. La produttività per giorno di vita è diventata il vero criterio di sopravvivenza per gli animali degli allevamenti intensivi, se scendono sotto i limiti economicamente stabiliti vengono eliminate.

Di fatto oggi queste vacche hanno una vita media di 5-6 anni, contro i 15 delle vacche autoctone mantenute libere al pascolo, in sintonia con il territorio e la natura. Certo la produttività di queste ultime è inferiore in termini quantitativi ma la qualità del latte è imparagonabilmente superiore. Superiore non solo per i parametri organolettici (grasso proteine, minerali), ma soprattutto per le componenti aromatiche e salutistiche. In effetti, questi animali liberi al pascolo hanno l’opportunità di scegliere le essenze foraggere spontanee, potendo selezionare anche piante medicamentose oltre che aromatiche. E’ ormai dimostrato scientificamente, da ricercatori di tutto il mondo, che gli animali al pascolo producono un latte con un contenuto più alto di antiossidanti naturali, che non hanno niente a che fare con quelli sintetici, addizionati dall’industria al latte stesso.

Ad esempio il latte di animali al pascolo ha un contenuto di acido linoleico coniugato (Cla) naturale, ben 4 volte superiore a quello prodotto da animali alimentati solo in stalla. La scienza ha dimostrato le proprietà anticancerogene di questo composto, che ripetiamo solo il latte degli animali al pascolo possiede. Vanno inoltre considerate tutte le componenti aromatiche presenti nel latte proveniente dalle essenze foraggere spontanee dei pascoli collinari e di montagna di cui la Sicilia è piena. Perché dunque accettare di aromatizzare il latte o di arricchirlo in vitamine sintetiche e minerali quando ci ha già pensato la natura? Perché allora non etichettare il vero latte per le qualità aromatiche e salutistiche a difesa della qualità di vita del consumatore? 

(*) Giuseppe Licitra

(Università degli Studi di Catania, già presidente CoRFiLaC)

estratto da Caseus Anno XV n.2 marzo/aprile 2010