Il gonfiore del decimo giorno: cause e rimedi

di Massimo Pes(*) – Nell’articolo precedente di questa rubrica abbiamo parlato del “gonfiore precoce”, un difetto che si riscontra con maggior frequenza nelle produzioni artigianali e che può essere facilmente contrastato o quantomeno attenuato, con l’adozione di opportuni accorgimenti. Un altro difetto abbastanza frequente, dovuto anch’esso all’attività fermentativa “anomala” di alcune specie batteriche, è il “gonfiore al decimo giorno”. Questa definizione deriva dal fatto che tale difetto si manifesta nei formaggi generalmente dopo 10-15 giorni dalla produzione, attraverso il rigonfiamento (bombatura) dei piatti delle forme in stagionatura.

Esaminando anche la sezione longitudinale di questi formaggi, si noterà che la pasta è caratterizzata dalla presenza di occhiature e/o sfoglie più o meno accentuate, che nei casi più gravi, appaiono come vere e proprie spaccature. L’insorgenza di questo difetto è dovuta alla presenza nel latte e nel formaggio che da esso deriva, di un particolare gruppo di batteri lattici, i lattobacilli eterofermentanti (Lactobacillus fermentum, Lactobacillus reuterii, Lactobacillus brevis, etc). Queste specie, a differenza di quelle utili alla caseificazione (tipiche delle colture lattiche), che fermentano prevalentemente il lattosio in acido lattico, sono in grado di fermentare il lattosio e i citrati (per questo conosciuti anche come lattobacilli citratofermentanti) e produrre diverse sostanze, fra le quali l’anidride carbonica. È proprio la pressione esercitata dal progressivo accumulo di questo gas nella pasta del formaggio, a determinare la formazione delle occhiature e delle sfoglie.

In genere le occhiature sono distribuite prevalentemente nella porzione centrale della forma, dove la pasta del formaggio, a questo grado di stagionatura, è ancora morbida e mantiene una certa elasticità; le sfoglie invece sono più diffuse nella porzione periferica, dove la pasta, più rigida e disidratata, cede alla pressione del gas, spaccandosi. Talvolta nella pasta si riscontra la sola presenza delle sfoglie, soprattutto quando i formaggi presentano un’eccessiva acidità. Infatti, in tale condizione, la pasta più friabile e poco coesa, è facilmente disgregabile. Fortunatamente, questo genere di “gonfiore”, non comporta l’elevato decadimento qualitativo e merceologico del formaggio, poiché al difetto di struttura non è associata la produzione di sostanze che ne alterano eccessivamente l’aroma e l’odore. 

Come giungono al formaggio questi batteri? In talune circostanze sono presenti nel latte crudo, anche in quantità rilevanti, soprattutto quando gli animali in produzione sono alimentati con foraggi insilati e/o sostano per lunghi periodi sulle lettiere umide e poco rinnovate. In entrambi i substrati, questi microrganismi raggiungono elevate concentrazioni e passano al latte attraverso l’insudiciamento della mammella. Un’altra fonte di contaminazione, certamente non secondaria, può essere rappresentata dal caglio in pasta, dove i batteri eterofermentanti giungono direttamente dagli abomasi freschi utilizzati per prepararlo. Generalmente, le condizioni di produzione e conservazione del caglio in pasta, permettono di ridurre sino ad eliminare completamente la microflora anticasearia in esso contenuta.

Come possiamo prevenire questo difetto? Senza dubbio, il trattamento termico di termizzazione del latte, è sicuramente assai efficace rispetto alla quasi totale riduzione dei batteri eterofermentanti, ma in molti casi, non è compatibile con la tecnologia di produzione che s’intende applicare. In tali circostanze, bisogna intervenire alla fonte, limitando l’uso dei foraggi insilati, mantenendo pulite e asciutte le lettiere di stabulazione degli animali e soprattutto curando l’igiene della mammella nella fase di mungitura. Per quanto riguarda il caglio in pasta, è fondamentale che sia preparato nel rispetto di procedure ben definite (Pettinau et al.*) e conservato a basse temperature (2-4°C), per non meno di 4-5 mesi prima dell’utilizzo in lavorazione. Infine, l’impiego di una buona coltura lattica, anche quando il latte è trasformato crudo, può rappresentare una vera soluzione al problema. Infatti, come abbiamo già detto nelle rubriche precedenti, i batteri lattici sono in grado, per azione diretta o indiretta, di esercitare un prezioso contrasto verso i batteri anticaseari (coli, eterofermentanti, etc.), limitando in tal modo l’insorgenza dei difetti ad essi correlato. 

(*) Massimo Pes – Agris ricerca

Agenzia Regionale per la Ricerca in Agricoltura

estratto da Caseus Anno XVI n.2 marzo/aprile 2011

Pettinau, M., Nuvoli, G., Podda, F., & Ledda, A. (1977). Influenza del metodo di preparazione del caglio d’agnello sulla conservazione delle sue proprietà coagulanti, proteolitiche e lipolitiche. Scienza e Tecnica Lattiero Casearia, 28, 101–114