Non tutto è oro ciò che riluce: il caso del latte di “alta” qualità

foto Michele CortiZootecnia intensiva e (scarso) benessere animale

Il latte prodotto negli allevamenti intensivi proviene da mucche in condizioni di benessere e salute non del tutto ideali, “rottamate” precocemente all’inizio della loro “carriera produttiva” a causa di patologie e traumi. Oltre agli animalisti, lo sostengono da tempo anche gli esperti zootecnici non allineati all’establishment delle agenzie ufficiali (in Italia: AIA, Unalat). Nel corso del 2009, a conferma che queste tesi risultano più che fondate, sono giunte anche le conclusioni dell’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza alimentare), i cui esperti scientifici del gruppo AHaW (Animal Health and Welfare) hanno stilato un parere assai negativo proprio sulla salute e il benessere degli animali, pur esprimendosi con le cautele di un linguaggio scientifico “politically correct”.

 

Super produzione, malessere, qualità del latte

Il fatto che l’Efsa abbia richiesto già nel 2010 cinque distinti “pareri” e una relazione scientifica, per valutare tutte le componenti del benessere delle vacche da latte in condizioni di allevamento intensivo, lascia intendere quanto l’Agenzia si preoccupi delle conseguenze che il mancato benessere e le insoddisfacenti condizioni di salute delle bovine comportino sulla qualità del latte alimentare e sui prodotti che ne derivano.

 

In attesa che il gruppo AHaW dell’Efsa affronti le interazioni tra sicurezza alimentare e benessere animale [come auspicato anche dai suoi stessi membri(1)] possiamo osservare che il nesso tra le precarie condizioni di benessere e la qualità casearia del latte è fin troppo chiaro (basti considerare la relazione tra la presenza di spore butirriche e l’incidenza di cadute, scivolate, condizioni non adeguate di decubito, etc.). Vorremmo però che fosse chiaro che, al di là dei parametri che determinano la “qualità industriale” del latte (cellule somatiche, carica batterica, titoli di grasso e proteine) ve ne sono molti altri più “sottili” che condizionano l’attitudine del latte stesso ad essere trasformato in formaggi di elevata qualità organolettica, nutrizionale e salutistica. Purtroppo, mentre vi sono moltissimi studi sulla relazione tra benessere e quantità di latte, ve ne sono pochi sui parametri qualitativi “standard” e pochissimi sugli aspetti più sottili ma sostanziali in termini di “qualità totale” sia della materia prima che dei suoi derivati.

 

Il parere del gruppo scientifico Efsa

Accantonando per il momento gli aspetti qualitativi che ci stanno più a cuore, vediamo cosa dice il gruppo scientifico dell’Efsa nel suo rapporto a proposito di super-produzioni, benessere e salute delle vacche: “Long term genetic selection for high milk yield is the major factor causing poor welfare, in particular health problems, in dairy cows(2)” (“Il fattore principale che determina l’insoddisfacente benessere delle vacche da latte è legato al trend della selezione genetica finalizzata ad elevate produzioni”). L’aumento della produzione di latte per vacca non conosce freno e per effetto di una selezione che insiste sull’obiettivo dell’iperproduttività delle lattifere ogni anno la media di produzione del “parco vacche” allevate in condizioni intensive aumenta di oltre un quintale di latte per lattazione. A tale proposito l’Efsa ricorda che: “The milk yield of dairy cows has risen steadily over the last thirty years in Europe with approximately 50 % of this increase estimated to be attributable to genetic selection for milk production efficiency” (“La produzione di latte delle vacche lattifere è aumentata costantemente negli ultimi trent’anni e per il 50% circa questo aumento è dovuto ai criteri di selezione genetica”). Altri aumenti della produzione di latte, sono legati alle tecnologie di allevamento quali i robot di mungitura che consentono di mungere sino a tre volte al giorno le bovine, con aumenti di produzione sino al 20% (ma peggioramento di alcuni parametri di qualità del latte e aumento della “rimonta” – di per sé già elevatissima – per via delle non poche bovine con mammelle inadatte ai robot).

 

Negli anni ’60 una mucca da latte delle realtà più specializzate della Bassa Lombardia produceva 3.000-3.500 kg di latte (in montagna meno di 2.000 kg). Oggi in Italia le vacche di razza Frisona (la più diffusa e di maggior produttività) producono in media oltre 9.000 kg di latte per lattazione (305 giorni, secondo convenzione), mentre in Israele è vicina ai 12.000 kg (valore raggiunto in Italia dagli allevamenti più produttivi). Vale a dire, in parole povere, che una vacca a inizio lattazione produce 60 kg di latte al giorno. Davvero uno sproposito.

di Michele Corti

docente di Zootecnia di montagna

Università degli Studi di Milano

www.ruralpini.it

 

La pubblicazione di questo articolo preseguirà lunedì 22 aprile con i seguenti argomenti:

Povere macchine da latte

Poveri piedi
(aggiornamento del 22.04.13: la seconda parte di questo articolo è raggiungibile ora cliccando
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Note
(1) Cfr. Ribo O., Candiani D., Serratosa J, (2009) Role of the European Food Safety Authority (EFSA) in providing scientific advice on the welfare of food producing animals,
(2) “…l’onda lunga della selezione genetica finalizzata alle elevate produzioni di latte è la causa principale dell’insoddisfaciente livello di benessere delle vacche da latte legato, in particolare, a problemi sanitari”

estratto da Caseus Anno XV n.1 gennaio/febbraio 2010