Povere macchine da latte
L’aumento spaventoso della produzione di latte che porta la mucca a produrre dieci volte tanto quello che è il fabbisogno del vitello (ovvero il livello “naturale” di secrezione lattea) è stato ottenuto modificando l’anatomia, la fisiologia, il metabolismo dell’animale. Rispetto alle mucche “naturali” le “macchine da latte” sono bestie “pelle e ossa” – tutte sporgenze e pochissima “copertura” di muscolo e grasso – quindi molto suscettibili alle lesioni in un ambiente d’allevamento artificiale, con materiali artificiali. Inevitabilmente, l’aumento della produzione di latte porta ad un aumento della taglia (mucche lunghe, alte e sottili) che fa sì che le povere mucche siano sempre “alle strette” nonostante ogni “tot” anni si rifacciano le stalle o, quantomeno, l’arredo zootecnico.
“This selection has also changed the form and size of dairy cows and hence demands on their behaviour and other adaptive mechanisms. The spatial requirements of the dairy cow have increased as well as its vulnerability for mechanical impacts and wounds on the exterior parts of the body, the skin, limbs and claws(3)” (“Questa selezione ha determinato la modificazione della conformazione e della taglia delle vacche da latte. Da qui derivano nuove esigenze in materia di comportamento e degli altri meccanismi di adattamento. Sono aumentati i fabbisogni di spazio e la vulnerabilità a traumi e lesioni a carico delle parti esterne del corpo: la pelle, gli arti, gli unghioni”).
Senza poi considerare che l’elevatissimo potenziale genetico per la produzione di latte corrisponde a una maggiore suscettibilità a determinate patologie: “The genetic component underlying milk yield has also been found to be positively correlated with the incidence of lameness, mastitis, reproductive disorders and metabolic disorders. In order to improve dairy cow welfare there is an urgent need to promote changes in the criteria used for genetic selection in the dairy industry(4)” (“La componente genetica legata alla produzione di latte è risultata correlata positivamente con l’incidenza di laminiti, mastiti, disfunzioni riproduttive e metaboliche. Al fine di migliorare il benessere delle vacche da latte vi è urgenza di promuovere un cambiamento nei criteri utilizzati nel settore zootecnico da latte”).
Poveri piedi
Tra i problemi i di cui soffrono le “forzate del latte”, quelli podali sono tra i più gravi e frequenti, tant’è che le zoppìe che ne conseguono sono causa di una buona parte delle “rottamazioni”. I problemi podali (in primo luogo la laminite) esemplificano bene la concomitanza di fattori alla base di condizioni di lesioni e sofferenza. La laminite sub-acuta è stata da tempo messa in relazione con i problemi alimentari legati alla super-produzione di latte. L’energia e le proteine necessarie a sostenere la super produzione sono fornite alla vacca attraverso alimenti ben diversi dai foraggi (che rappresentano la naturale alimentazione degli erbivori). Si tratta di alimenti “concentrati” (“rubati” agli umani) ricchi di amido e di zuccheri (oltre che molto ricchi di proteine) che comportano scarsa masticazione e che fermentano rapidamente nel rumine (di fatto la vacca viene “ingozzata” in modo innaturale).
Non tamponati dalla saliva (per mancanza di adeguata masticazione) gli acidi organici (in particolare l’acido lattico, che non si evolve con razioni “naturali”) si sviluppano in forte quantità nel rumine determinando una condizione di basso pH che, a sua volta, provoca danni all’epitelio dell’organo digestivo e quindi il passaggio nel circolo sanguigno di sostanze tossiche quali istamine e endotossine (legate alla forte attività fermentativa) dannose per i tessuti. Il tessuto del piede è particolarmente sensibile a queste tossine, anche perché già sollecitato e stressato dalla deambulazione forzata su superfici innaturali (cemento) dove la reazione meccanica è ben diversa da quella di un tappeto erboso.
L’acidosi sub-clinica (SARA) è una condizione normale nelle “forzate del latte”. In uno studio recente(5) si è osservato come la SARA rappresentasse un problema (più di un terzo della mandria con pH ruminale <5,5) nel 30% delle aziende esaminate mentre nelle rimanenti nel 50% dei casi la situazione era comunque critica (più di un terzo della mandria con pH ruminale <5,8) e come solo nel 20% delle aziende si riscontrasse una condizione ruminale normale. Si interviene con correttivi quali i tamponi chimici, ma come per tutti gli “integratori” somministrati alla “forzate del latte” il loro scopo è quello di “spingere” ancora di più il livello alimentare e la produzione (il potenziale genetico lo consente). L'acidosi sub-clinica provoca anche ascessi epatici e immunodepressione e favorisce - insieme ad altre concause - la dislocazione dell'abomaso (grave patologia che porta spesso alla “rottamazione” della vacca).
di Michele Corti
docente di Zootecnia di montagna
Università degli Studi di Milano
La pubblicazione di questo articolo si concluderà lunedì 29 aprile con i seguenti argomenti:
Vacche rottamate
Un po’ di pietà per le mucche
La prima parte di questo articolo è stata pubblicata il 15 aprile 2013 ed è raggiungibile cliccando qui
Note
(3) “La selezione ha cambiato anche la taglia e la morfologia della vacca da latte e quindi i suoi bisogni relativamente al comportamento e agli altri meccanismi adattativi. Il fabbisogno di spazio della vacca da latte è aumentato così come la sua vulnerabilità agli impatti meccanici e alle lesioni a carico delle parti esterne, della pelle, degli arti, degli unghioni”
(4) “La componente genetica legata alla produzione lattea è risultata correlata con l’incidenza di laminiti, mastiti, disturbi riproduttivi e metabolici. Al fine di migliorare il benessere delle vacche da latte è urgente promuovere la revisione dei criteri utilizzati per la selezione genetica nell’ambito della produzione lattiera”
(5) Morgante, M.; Stelletta, C.; Berzaghi, P.; Gianesella, M.; Andrighetto, I. (2007) Subacute rumen acidosis in lactating cows: an investigation in intensive Italian dairy herds. Journal of Animal Physiology and Animal Nutrition, 91 (5/6), pp.226-234
estratto da Caseus Anno XV n.1 gennaio/febbraio 2010