di Laura Pizzoferrato(*) – Tra tutti gli acidi grassi che compongono la frazione grassa della nostra dieta, l’interesse dei nutrizionisti è rivolto soprattutto ai cosiddetti “acidi grassi essenziali” che non possono essere sintetizzati dall’organismo umano. Questi particolari acidi grassi sono l’acido linoleico (omega 6) e l’acido alfa linolenico (omega 3) dai quali l’organismo umano è in grado di formare due serie, o famiglie, di acidi grassi a catena più lunga e più insatura. Sono queste le serie omega 6 e omega 3, dove il numero rappresenta la posizione del primo doppio legame (insaturazione) nella catena di atomi di carbonio che costituisce la molecola.
Gli acidi grassi essenziali svolgono ruoli molto importanti per la salute dell’uomo, sono componenti fondamentali di tutte le membrane biologiche, intervengono nel metabolismo del colesterolo e, indirettamente, nei processi di coagulazione del sangue. E’ importante però ricordare che le quantità di omega 6 e omega 3 devono rispettare un rapporto specifico: per l’uomo, infatti, il fabbisogno di acido linoleico (omega 6) è da 5 a 10 volte superiore del fabbisogno di acido alfa linolenico (omega 3). E non di più. Il rapporto reale della dieta è invece solitamente sbilanciato verso gli omega 6 e un incremento degli acidi grassi omega 3 sarebbe quindi favorevole per il ripristino del giusto equilibrio fra le due serie di acidi grassi. Per incrementare l’assunzione di omega 3, è stato studiato e messo in commercio latte addizionato di questi acidi grassi provenienti, generalmente, da olio di pesce. Nel latte alimentare la presenza di una maggiore quantità di acidi grassi insaturi può rendere l’alimento più vulnerabile alle reazioni di ossidazione. Il problema è reale, ma facilmente superabile. Se leggiamo l’etichetta ci accorgiamo facilmente che questi prodotti oltre agli acidi grassi insaturi, sono stati aggiunti anche di alfa tocoferolo, la vitamina E, un potente antiossidante naturale.
La presenza nel latte degli acidi grassi insaturi può essere anche aumentata modificando opportunamente l’alimentazione del bestiame e incrementando il contenuto di acidi grassi insaturi che dal rumine passano al sangue.
Facile a dirsi, molto meno a farsi! Occorre fornire alle vacche un substrato insaturo in forma tale da minimizzare l’interferenza del rumine. Gli oli di semi possono essere aggiunti come seme intero in modo che la parte fibrosa possa costituire una sorta di “capsula di protezione” dal rumine. L’impiego di grassi “protetti” può portare all’aumento della presenza di acidi grassi insaturi a catena lunga e di Cla ed alla diminuzione della concentrazione di acidi grassi saturi, compresi però – e questo non è un vantaggio – anche quelli a catena corta, caratteristici del latte e dotati di effetti positivi per l’uomo. Ma se questa “forzatura” può essere positiva per il latte alimentare non lo è necessariamente anche per il formaggio. Infatti, nel latte destinato alla caseificazione, la presenza di una quota maggiorata di acidi grassi insaturi causerebbe una maggiore vulnerabilità alle reazioni ossidative anche del formaggio che non sarebbe più in grado di sostenere la stagionatura. Inoltre le caratteristiche chimico-fisiche degli acidi grassi variano con la lunghezza della catena: i più corti sono volatili (da loro dipende in parte l’odore del formaggio), quelli di media lunghezza sono liquidi (oleosi), i più lunghi sono solidi (tipo burro). Inoltre, a parità di lunghezza di catena, la presenza di doppi legami rende la molecola più cremosa e spalmabile. Caratteristiche sicuramente gradevoli per un formaggio fresco, ma certo non auspicabili per un formaggio stagionato. Attenzione allora a intervenire sul bestiame per averne un latte più ricco di acidi grassi insaturi. Rischiamo di ripetere l’esperienza del maiale “magro”, dieteticamente perfetto, ma assolutamente inadeguato per produrre prosciutti!.
(*) Laura Pizzoferrato
ricercatrice Inran
Istituto Nazionale Ricerca
per gli Alimenti e la Nutrizione
estratto da Caseus Anno XV n.2 marzo/aprile 2010