Bufala Dop: sì, vabbé, ma l’alimentazione?

 

Il direttore del Consorzio di Tutela Mozzarella di Bufala, Lucisano, e il presidente Raimondo. A destra, bufale in stalla

15 aprile 2013 – La settimana scorsa su tutti i quotidiani nazionali abbiamo potuto leggere intere pagine sulla Mozzarella di Bufala Campana. Il primo impatto è stato piacevole, perché non è un mistero che l’agricoltura per la nostra stampa è un argomento bislacco, esotico. Ma l’illusione è durata poco. Già dalle prime righe si vedeva subito che il tema del contendere era di natura giuridica, di assetto organizzativo e produttivo dei caseifici, non di agricoltura o di tematiche relative al “sistema bufala”. Da tempo gli addetti ai lavori notavano che la produzione di mozzarella Dop aumentava mentre la vendita del latte dell’area Dop diminuiva. Naturalmente non si trattava di un arcano mistero, perché tutti sapevano che in zona arrivavano dal Nord o dalla Bulgaria cagliate congelate che poi venivano trasformate in Mozzarella Dop.

Molti caseifici, per risparmiare, ricorrevano illegalmente a cagliate provenienti da fuori area e, poiché il controllo è difficile, perché nello stesso caseificio si potevano produrre anche altri tipi di mozzarella o di pasta filata, il Consorzio di Tutela ha cambiato il disciplinare di produzione vietando ai caseifici di produrre altri tipi di pasta filata. In sostanza, in futuro il caseificio che vuole produrre mozzarella Dop non può produrre altri tipi di formaggio. Gli allevatori hanno esultato, i caseifici hanno protestato. Gli allevatori hanno ragione e, siccome le leggi vanno rispettate, se i caseifici vogliono produrre mozzarella Dop devono adeguarsi. Da parte nostra constatiamo ancora una volta che i problemi del settore non interessano né alla stampa né ai protagonisti, allevatori e caseifici. Non si parla mai della dinamicità del sistema, delle prospettive e di come e se intervenire.

Quattro anni fa noi di Caseus abbiamo organizzato un concorso della Mozzarella di Bufala Campana Dop. Capisco che ai concorsi i produttori di un certo livello non partecipano, ma in quella sede, su novanta mozzarelle solo una decina avevano una personalità spiccata; il resto era poca cosa. Negli ultimi anni si sta assistendo ad una deriva dell’allevamento della bufala perché troppo appiattito sul “modello vacca da latte”. Un’alimentazione basata sull’unifeed, con insilati o fieno monofiti (di modesta qualità), con una quantità industriale di concentrati, trattamenti sanitari e liquami oltre il limite. Fino a quando il miglioramento genetico avrà ritmi lenti, qualche margine di salvezza c’è, ma se la selezione funzionerà come per la vacca da latte, la mozzarella di bufala diventerà come il Fior di Latte vaccino: un prodotto anonimo e banale (salvo rarissime eccezioni). In più però, rispetto alla vacca, la bufala ha un carico per ettaro molto sbilanciato ed eccessivo, perché la redditività del latte di bufala ha spinto molti allevatori ad aumentare in maniera sconsiderata il numero di animali, con conseguente aumento dei concentrati nella razione. Quindi un latte sempre più scadente.

La qualità aromatica e nutrizionale del latte dipende dalla quantità e dal numero di erbe contenute nella razione. Più erbe ci sono e più erba mangia l’animale e più la complessità del latte sarà importante. Invece si continua ad usare l’unifeed, con mais e fieni di modesta qualità ed elevate percentuali di concentrati.

Poteva essere l’occasione per lanciare una piccola pietra nello stagno, invece nessuno vuole parlare di questo, solo modesti particolarismi per un modesto risultato. Il consumatore non ne guadagnerà certo (perché qualcuno mi dovrebbe dimostrare che il latte locale è migliore di quello che viene dall’estero) e tutto continuerà come prima, forse peggio di prima.

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di Roberto Rubino

presidente ANFoSC

(Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo)


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