13 maggio 2013 – Negli anni ’80 del secolo scorso la parola d’ordine nelle discussioni impegnate e nei convegni era: ”facciamo dell’handicap una risorsa”. Erano gli anni in cui si faceva un gran parlare di “aree marginali”, di “osso e polpa” (Manlio Rossi-Doria), di “sfasciume idrogeologico” (Giustino Fortunato) di “pascoli degradati”, di “razze rustiche”, di carenza di risorse peraltro mal gestite. Luoghi comuni che non avevano nessun riscontro con la realtà ma che tenevano banco nei convegni più accreditati. Queste teorie erano talmente anacronistiche ed inconsistenti che, in poco tempo e con la stessa inconsistenza, si è passati a dire esattamente il contrario.
Oggi non si parla più di aree marginali, di razze rustiche, anzi, c’è la corsa alla razza animale in via di estinzione, al fagiolo a alla fava che vengono coltivati da un solo piccolo produttore e, con lo stesso tono agiografico, si magnificano proprietà spesso inventate. Per carità, ben venga ed era ora questo tentativo di conservare la biodiversità, ma fino a quando le nostre azioni saranno dettate da luoghi comuni, dalla scarsa capacità di leggere il territorio, l’ambiente, e la natura nella sua globalità, i risultati saranno effimeri ed a volte controproducenti.
Un esempio per tutti: sappiamo ormai da un decennio che il pascolo, sì proprio quella cotica degradata che è stata la causa del nostro sottosviluppo, grazie alla sua flora multiforme e variopinta, eleva di molto la complessità aromatica e nutrizionale di latte e formaggi. Non a caso, quando le vacche vengono “messe all’erba”, il latte si colora di giallo, perché il beta-carotene contenuto nell’erba passa nel loro sangue e poi nel latte e nei formaggi. Dovrebbe bastare questo cambiamento di colore per far schizzare il prezzo verso l’alto di almeno tre volte di più, perché, a conti fatti, la gran parte delle molecole di interesse nutrizionale ed aromatico, il rapporto omega6/omega3, il Grado di Protezione antiossidante (Beta-carotene+tocoferoli/colesterolo), vengono più che triplicate. E invece no, anzi! In molte zone del Sud d’Italia e del Mediterraneo, quando il latte incomincia a diventare giallo viene rifiutato o penalizzato dai caseifici perché: “la mozzarella non è più bianca”. Come se il bianco fosse segno di qualità e, per questo, molti produttori ricorrono addirittura alla clorofilla per sbiancare il formaggio. Ecco cosa succede quando si magnificano i prodotti senza avere in mano la chiave di lettura della qualità. Quel tale prodotto “è buono perché è Dop” o “perché ha un nome famoso” e non perché noi ne conosciamo i fattori che ne hanno determinato la diversità. Questa incapacità di leggere la diversità ci ha portato alla soluzione opposta: abbiamo fatto della risorsa, ovvero del pascolo, un handicap.
Il pascolo è una grande risorsa italiana. Il consumatore deve capire che il latte prodotto da animali al pascolo ha un valore molto, ma molto diverso da quello di animali alla stalla. Ed è proprio per avvicinare il consumatore a questa diversità che l’ANFoSC, in collaborazione con alcuni Gal ed altri enti territoriali, ha organizzato la prima edizione della manifestazione “Arrivano i Gialli”. L’obiettivo è quello di far toccare con mano, di far sentire questa diversità direttamente in azienda, presso il produttore, far gustare ma anche ammirare il paesaggio, l’aria pulita, l’acqua che ha sapore, i profumi della natura. Un formaggio giallo non è solo qualcosa da mangiare ma molto di più. Una ricotta gialla è un’emozione che solo pochi possono provare ed è qualcosa difficile da descrivere.
Indirizzi, aziende, eventi, e la bibliografia essenziale, li trovate sul sito: www.arrivanoigialli.it
di Roberto Rubino
presidente ANFoSC
(Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo)
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