28 maggio 2013 – Il pacchetto igiene, in molti angoli dell’Europa, è praticamente l’unico argomento di discussione del settore caseario. In tutti i convegni vi è sempre qualcuno che lamenta l’eccesso di restrizioni del Regolamento europeo sull’igiene. Oramai vi è una contrapposizione netta fra Servizi veterinari, che contestano le proteste affermando di limitarsi ad applicare la legge e gli operatori, che attribuiscono a questo binomio legge-servizi veterinari, l’origine del malessere del settore. Le cose non stanno esattamente in questi termini, ma ammettiamo che stiano così, che la legge è troppo severa e che i servizi veterinari non fanno che applicarla.
Le leggi non sono eterne, si cambiano in funzione degli effetti che hanno determinato e degli eventi che si sovrappongono e che intervengono. Quindi, se così fosse, basterebbe cambiare il pacchetto igiene ed adeguarlo alle nuove esigenze. Invece non è così; l’Europa ha fatto una buona legge. Una legge applicabile in tutti i contesti, dalle pianure dell’Olanda, alle zone aride dell’Andalusia, agli alpeggi delle Alpi. Perché le regole sono essenzialmente due: tutti i materiali devono essere lavabili e, con l’autocontrollo, è il produttore che stabilisce i punti critici. Il produttore e non i servizi veterinari! Meglio di così non si può fare.
Eppure il problema esiste e in alcune aree la sua applicazione è paradossale perché la lettura che ne danno i Servizi è molto personale e spesso poco tecnica. Un esempio estremo: nelle Canarie la brucellosi non esiste, è assente, le isole ne sono indenni. Eppure i Servizi vietano i formaggi a latte crudo. E questo perché in Spagna, dicono i Servizi, lo Stato ha applicato in senso restrittivo i regolamenti comunitari. Se allora il problema è l’interpretazione, occorre svincolare e liberare i Servizi da quest’arbitrio. E poiché i Servizi sono regionali, occorre che le regioni mettano mano a decreti applicativi che chiariscano nei dettagli le procedure, in modo da non lasciare spazi di manovra ai vari ispettori, molti, troppi, che si susseguono nelle aziende.
Per prima ci ha pensato la Regione Basilicata che con il DGR 305/2013 ha finalmente definito le modalità di costruzione, di riadattamento e di utilizzo delle cantine naturali, delle grotte. Questo decreto è doppiamente importante: perché apre la strada ad un nuovo metodo di applicazione del “pacchetto igiene” e perché rimette al centro del settore caseario la stagionatura. Sì, la stagionatura: quel segmento della filiera che alcuni chiamano affinamento perché questa parola dà il senso della cura minuziosa del processo, un segmento che una volta era un mestiere e parte importante del processo di qualità e che ora viene trascurato, quasi non esiste più. Il formaggio si deposita in una cella e lo si riprende quando lo si vende. Qualcuno lo mette anche sottovuoto, in modo da non avere problemi. Il confronto con il vino, che spesso facciamo, in questo caso è perdente. È vero che i grandi vini si fanno nella vigna, ma l’affinamento può arrivare a creare un valore aggiunto che nei formaggi ci sogniamo.
Un tempo, quando vi era la transumanza e le mandrie si spostavano, i pastori si limitavano a produrre i formaggi. Subito dopo passavano i compratori, nel Regno di Napoli si chiamavano “guaratini” (che è ancora un cognome del foggiano), che compravano il formaggio, lo portavano nelle cantine naturali, nei fondaci, lo salavano e lo stagionavano. Era un mestiere importante, che procurava ricchezza, vi erano e vi sono interi paesi che vivevano sfruttando al meglio questo segmento della filiera.
Oggi non ci sono più stagionatori, non c’è più la cultura della stagionatura ed è per questo che l’interpretazione della legge è stata quella di ignorare e vietare i locali naturali, le grotte, a vantaggio di costose ed inutili celle frigorifere. La Basilicata è una terra dove naturalmente esistono cave, grotte, fondaci. In molti paesi le parti ipogee gareggiano con le aree abitate. I paesi che vanno dal Vulture fino alla foce del Bradano, Barile, Rionero, Acerenza, Grassano, Matera, Montescaglioso, solo per dirne alcuni, sono disseminati di cantine naturali. Moliterno ha palazzi con fondaci spettacolari. È vero che erano stati abbandonati, che solo in pochi continuavano a mantenere, di nascosto, i formaggi nelle cantine, ma il ricordo è ancora vivo, e poi i vini in queste grotte sono ormai uno spettacolo offerto ai turisti enogastronomici e non solo. Non è stato difficile quindi trasformare l’esigenza in legge, come dovrebbe essere e come si dovrebbe operare dappertutto. I lucani ci hanno impiegato venti anni, la prima legge sull’igiene è del 1992. Speriamo che non ne passino altrettanti nel resto d’Europa. Il rischio è la perdita di un elemento fondamentale ed insostituibile per la qualità dei formaggi.
di Roberto Rubino
presidente ANFoSC
(Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo)
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