Fare qualità non basta se non c’è conoscenza (del proprio latte)

Analisi del latte - foto Iucju©
Analisi del latte – foto Iucju©

8 ottobre 2013 – La scorsa settimana, parlando del Cheese di Bra e delle impressioni “a caldo” su quella manifestazione, avevo fatto un rapido cenno ad un produttore che, pur producendo un buon formaggio, mi annunciava, con enfasi e soddisfazione, di aver fatto analizzare nel latte delle sue vacche il polimorfismo delle caseine. Cercavo di dire che, in generale, i produttori non sono in grado di raccontare la diversità del proprio prodotto. Interviene un lettore che si firmandosi Felpa Blu così commenta: “Mi pare si generalizzi troppo. Per un produttore che crede di sapere ce ne sono altri che sanno cosa c’è dentro il loro formaggio”.

È chiaro che in un breve articolo non si può non generalizzare, ma ne approfitto per ritornare sull’argomento, questa volta entrando nel merito. Premetto che nella mia lunga esperienza ho sempre trovato allevatori convinti della qualità del proprio latte. Non è il caso di ricordare che “ogni scarrafone è bello a mamma soia”, è chiaro che ognuno è innamorato del proprio lavoro; il problema non è quindi la valutazione bensì la condivisione del vocabolario, del significato delle parole, e, nel caso specifico, dei parametri e delle unità di misura che si utilizzano per esprimere e misurare la qualità.

Se partiamo dall’assunto che il latte non è tutto uguale e che in Italia esiste la legge sull’Alta qualità del latte, legge che identifica in grasso, proteine, carica batterica e cellule somatiche i caratteri, i parametri per definire e misurare la qualità, come possiamo pensare che gli allevatori abbiano a disposizione le parole giuste per definire la diversità del proprio latte? È chiaro che chi produce il latte di Alta qualità rimanda alla legge per dimostrare la specificità del proprio latte. Paradossalmente potrebbe definirla un assunto, una caratteristica non dimostrabile. E come dar loro torto, anche se sappiamo – ed è stato ultimamente dimostrato dalle ricerche del Cra-Nut (Centro di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione) – che quel latte è bel lontano dall’essere di alta qualità?

Possiamo però dire che quei produttori hanno consapevolezza di produrre qualità? Direi di no, anzi saremmo portati a chiederci: cosa sarà mai successo perché allevatori, pur bravi, hanno perso il contatto con la realtà? Non riescono a percepire la deriva del loro latte? Naturalmente se questi sono i parametri per definire la qualità, gli allevatori che, per motivi diversi – una razza meno produttiva, piccola dimensione dell’azienda, uso di buon fieno e pochi concentrati – riescono ad avere una qualità superiore, non hanno gli strumenti per poterla raccontare. Il grasso e le proteine non sono responsabili della qualità. Purtroppo il mondo della ricerca non li aiuta. Per anni la scienza (salvo rare eccezioni) ha inseguito velleità strane: prima le superproduzioni, poi il polimorfismo delle proteine; negli ultimi anni il Cla e gli Omega3, obiettivi questi che hanno sempre viaggiato insieme al miglioramento genetico, alla selezione e, quindi, al business.

Chi ha seguito la vicenda del pecorino ricco di Cla che fa diminuire il colesterolo e la ridicola guerra che ne è nata fra un caseificio sardo e uno toscano circa la paternità del prodotto, la dice lunga sul metodo e sull’approccio che è in atto. Per produrre il latte con livelli alti di Cla hanno dovuto mettere le pecore alla stalla e alimentarle con pannelli di lino (c’è sempre qualcuno che vende qualcosa). Bastava tenerle al pascolo ed il gioco era fatto. Abbiamo milioni di pecore al pascolo e ci vantiamo di produrre un latte ricco di Cla con un solo gregge di pecore alla stalla.

Purtroppo è troppo semplice dire che la qualità si fa migliorando la qualità del fieno, aumentando la quantità di erba nella razione e distribuendo meno concentrati. Gli animali starebbero meglio e la qualità del latte sarebbe decisamente superiore. Tutto questo lo sanno i produttori? No, sia perché c’è sempre qualcuno che cerca di vender loro qualcosa (basta vedere il caso dei fermenti lattici), sia perché non hanno a disposizione i parametri per dimostrare e raccontare la qualità. Almeno nella stragrande maggioranza dei casi.

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di Roberto Rubino

presidente ANFoSC

(Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo)


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