19 novembre 2013 – Nel 2015 scompariranno le quote latte. Per intenderci, quel meccanismo che, imponendo di mantenere fissa la quantità di latte prodotta in ciascuna nazione europea, blocca la concorrenza e mantiene stabili, se non aumenta, i prezzi alla stalla. Naturalmente gli allevatori sono in fibrillazione, soprattutto quelli di casa nostra, perché in Italia il costo del latte è di molto superiore a quello europeo e, ancor più, a quello internazionale. Tutti temono un ulteriore abbassamento dei prezzi e, quindi, da più parti ci si sta organizzando per preparare la linea Maginot.
I prezzi tenderanno a scendere ulteriormente (salvo che la Cina non aumenti velocemente il consumo di latte e formaggi) perché tutti proveranno ad aumentare le produzioni. In Italia e non solo, da decenni la strategia del settore per contenere, mantenere, conquistare fasce di mercato è quella di ridurre i costi. La guerra commerciale fra produttori si fa provando a offrire alla Grande Distribuzione lo stesso prodotto a qualche centesimo in meno. E questo è possibile perché il latte e i formaggi, almeno quelli industriali, sono considerati simili tra di loro, praticamente uguali, la qualità è attribuita a tutti e, quindi, a nessuno.
Lo stesso approccio si va consolidando in questi mesi nel dibattito che, naturalmente, è vivace e vivo e che gli addetti al settore alimentano da più parti. Bisogna ridurre i costi, aumentando le produzioni sia per vacca e sia per stalla, aumentando il numero dei capi. Per la verità c’è un’altra timida proposta che affiora qua e là e che sembrerebbe andare nella direzione opposta: aumentare la qualità.
Chi di voi mi segue sul periodico Onaf “InForma” avrà forse letto un mio articolo su quei ricercatori dell’Università di Milano che hanno studiato la possibilità di migliorare il rapporto acidi grassi saturi/insaturi attraverso il miglioramento genetico. Questo argomento meriterebbe un libro piuttosto che un articolo ma ci limitiamo a dire che, non solo questo rapporto si potrebbe migliorare velocemente cambiando o meglio migliorando l’alimentazione delle vacche e che con la selezione i risultati sono lentissimi da raggiungere ed a costi incredibili (tanto paga lo Stato!), ma poi l’Unione Europea ha più volte detto che il miglioramento genetico se lo devono pagare gli allevatori e che lo Stato non può accollarsi questa spesa. Invece l’Italia fa finta di niente, paga di suo perché prigioniera della lobby del latte.
Poi ci sono quelli che vorrebbero aumentare il contenuto di Cla e di Omega3. Fra i primi abbiamo già parlato di quella ricerca che ha dimostrato che il formaggio con un alto livello di Cla può prevenire l’aumento del colesterolo. Solo che per ottenere questo risultato hanno dovuto mettere le pecore alla stalla. Nel mondo invece le pecore e le capre, ed anche le vacche, sono al pascolo nella stragrande maggioranza dei casi ed il latte di animali al pascolo è il migliore in assoluto ed i livelli di Cla – e non solo – sono praticamente gli stessi di quelli ritenuti miracolosi dopo la “cura” alla stalla. Perché valorizzare un solo allevatore imponendogli di cambiare sistema di allevamento, se potremmo valorizzare la zootecnia mondiale, in maniera particolare quella dei paesi poveri? Mistero!
Sono andati oltre alcuni ricercatori dell’Università di Cordova, che hanno pubblicato una ricerca il cui obiettivo dichiarato è quello di aumentare il livello di Omega3 nel latte. Qui i ricercatori hanno lavorato di fino. Subito dopo la nascita i ruminanti hanno un meccanismo, il riflesso della perdita reticolare, che permette al latte di bypassare il rumine e di andare direttamente nell’intestino. In questo modo gli Omega3 non subiscono la bioidrogenazione e vengono direttamente assorbiti. L’idea è: se noi diamo agli animali alimenti con Omega3 aggiunti, questi passeranno indenni dal rumine ed arriveranno all’intestino per essere assimilati. Quindi sono andati al di là della semplice aggiunta di Omega3 nella razione: cambiare anche la struttura biologica dell’animale. Questi signori ci stanno dicendo che la natura ha sbagliato e che se rimettiamo le cose a posto avremo un latte con più Omega3. La natura impiega millenni per mettere in equilibrio gli organismi viventi e non solo, e poi una mattina si alza qualcuno e pretende di rimescolare il tutto, convinto che si possa perturbare questo equilibrio in maniera indolore, senza che da qualche altra parte ci siano danni.
Insomma le strade alternative che si stanno tentando sono vacue e vane. L’unica percorribile, almeno secondo me, resta quella di uscire dalla logica del “tutto uguale” ed incominciare a fare vedere che invece le cose sono completamente diverse, ci sono qualità diverse che vanno valorizzate in quanto tali.
Il vecchio adagio vale sempre: dare a ciascuno il suo.
di Roberto Rubino
presidente ANFoSC
(Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo)
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