Non si può giudicare un formaggio se non si sa nulla del suo latte

33 dicembre 2013 – Il patrimonio caseario è enorme, del numero dei formaggi si è perso il conto, le differenze fra i diversi formaggi possono essere grandi o sottili, sia entro la categoria, sia fra le categorie. Che strumenti abbiamo per comprenderne la specificità, per effettuare una lettura della qualità? Normalmente ricorriamo alla degustazione, all’analisi sensoriale, anche a livello scientifico. Ma l’analisi sensoriale ci permette di soddisfare questa esigenza, e soprattutto, di dare un valore ai formaggi? Siamo in grado, dopo una degustazione, di capire se il prezzo di quel formaggio è in linea con il giudizio da noi espresso?

Il metodo che viene da tutti usato quando si degusta un formaggio è molto riduttivo se non fuorviante, perché si limita a una semplice descrizione delle impressioni che se ne ricavano. Si inizia con l’analisi visiva, prima della crosta, poi della pasta, quindi colore e odore. Si passa poi alla struttura, al sapore ed al retrogusto. Ma ci si ferma solo alla descrizione e non al perché di quei sentori, si dice che il formaggio è bianco, ma non se ne riferiscono i motivi. Quindi, la sola descrizione delle impressioni avute, il solo giudizio di accettazione non ci permettono di dare un valore al formaggio.

Quanto vale? Quale dev’essere il suo costo? Per capire come ovviare a questo limite, facciamoci aiutare dalla letteratura. Nel suo libro “Palomar”, Calvino mette il protagonista davanti ad un ricco banco di formaggi e gli fa trarre indicazioni utili anche per noi. Di fronte a tutti quei formaggi, Palomar dimostra subito di sapersi orientare proponendone una attenta chiave di lettura: ”La formaggeria si presenta come un’enciclopedia a un autodidatta; potrebbe memorizzare tutti i nomi, tentare una classificazione a seconda delle forme: a saponetta, a cilindro, a cupola, a palla, a seconda dei materiali estranei coinvolti nella crosta o nella pasta: uva passa, pepe, noci, sesamo, erbe, muffe, ma questo non l’avvicinerebbe d’un passo alla vera conoscenza, che sta nell’esperienza dei sapori, fatta di memoria e di immaginazione insieme, e in base ad essa soltanto potrebbe stabilire una scala di gusti e preferenze e curiosità ed esclusioni”.

“Dietro ogni formaggio c’è un pascolo di un diverso verde sotto un diverso cielo: prati incrostati di sale che le maree di Normandia depositano ogni sera; prati profumati d’aromi al sole ventoso di Provenza; ci sono diversi armenti con le loro stabulazioni e transumanze; ci sono segreti di lavorazione tramandati nei secoli”: Palomar non legge l’etichetta, non si lascia incantare dalle forme; egli sa che la qualità va cercata altrove, nei pascoli sapidi della Normandia o in quelli assolati della Provenza.

Purtroppo le etichette quasi mai sono d’aiuto, perché – per legge – occorre indicare solo gli ingredienti, che sono sempre: latte, caglio e sale. Aiutano ancora meno i tanti libri che sono in circolazione, perché la gran parte di essi si limita a parlare generalmente della tecnica di produzione, come se la qualità fosse solo una questione tecnica, che si ottiene in caseificio. E il latte, la materia prima? Non conta mai. E l’ambiente? E gli animali? Niente di tutto questo.

Invece la qualità di un formaggio è dovuta soprattuto alla materia prima, al latte, o meglio, alle numerose erbe che l’animale mangia. Quindi, la differenza più importante la fa il latte, l’erba, le erbe. Poi, ma con minore incidenza, vengono il trattamento termico (pastorizzazione), l’uso di fermenti e di correttori di acidità. Teniamo presente che tutti i parametri chimici analizzati (Grado di Protezione antiossidante, rapporto omega6/omega3) ci dicono che le erbe possono produrre nei diversi latti scarti anche di 5-6 volte, a seconda che l’animale abbia pascolato o sia stato nutrito in stalla. Ne deriva che nell’analisi sensoriale noi dobbiamo ricercare gli indicatori delle erbe, il beta-carotene e le sue sfumature, la complessità aromatica, le note riconducibili ai fieni o alle erbe dei pascoli, la persistenza del retrogusto. Poi, capire se il formaggio è pastorizzato, se sono stati usati fermenti o correttori di acidità.

Insomma, credo che la classica scheda di degustazione vada cambiata e che vada data priorità al sistema alimentare e ai suoi effetti sulla qualità.

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di Roberto Rubino

presidente ANFoSC

(Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo)


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