4 febbraio 2014 – Nel 2015 scompariranno le quote latte. Gli effetti sono abbastanza prevedibili. Gli allevatori saranno liberi di aumentare i livelli produttivi per vacca e per azienda, l’offerta, nonostante la timida attenzione dei cinesi per i latticini, sarà superiore alla domanda, i prezzi tenderanno a diminuire, i produttori dovranno ridurre i costi e, nel farlo, saranno costretti ad influire negativamente sulla già modesta qualità del latte. Al solito, chi ci rimetterà saranno i consumatori, che si troveranno di fronte prodotti sempre più banali – beninteso debitamente marchiati con il sigillo dell’Alta Qualità – ed i piccoli produttori, quelli che in montagna e in collina (per la verità ce ne sono anche in pianura) ancora insistono con tecniche più rispettose dell’animale e dell’ambiente.
Come si sta preparando il settore a questo avvenimento che potrebbe stravolgere l’attuale assetto produttivo e la cultura stessa dell’allevamento?
Il sistema intensivo è ormai prigioniero della logica: riduzione delle spese di esercizio, aumento della produzione. Costi quel che costi. Sembrerebbe un ossimoro, ma la debolezza del sistema è tale da non lasciar intravvedere altra prospettiva. L’aumento della produzione si otterrà insistendo con questa selezione dissennata (l’Unione Europea si oppone e ha vietato di farla con i soldi comunitari, ma l’Italia insiste utilizzando i soldi dei contribuenti), anche se mascherata da termini che in quel contesto sono semplicemente ridicole, come “benessere animale” e “qualità delle produzioni”. Si potrebbe inoltre produrre più latte aumentando il numero di vacche in lattazione. Va in questa direzione il Progetto “Gran Manze” che una società vicina a Granarolo sta attuando in Molise. L’obiettivo dichiarato è quello di concentrare un numero elevato di manze (12mila) in una sola azienda – senza terra – per liberare gli allevamenti della pianura Padana dall’onere di tenere occupate ampie superfici per l’allevamento di animali ancora improduttivi.
Il sistema intensivo, che in apparentemente è all’avanguardia perché usa tecniche “sofisticate e moderne”, rimane ancorato al passato. Parafrasando Leo Longanesi: “conservatore in un Paese in cui non c’è nulla da conservare”, bloccato su modelli superati e – soprattutto – senza una vera idea per la propria sopravvivenza.
Il sistema meno intensivo, quello – per intenderci – con poche vacche, senza insilati e pochi concentrati – che è diffuso su tutto l’arco appenninico e le montagne del Nord – naturalmente non ha progetti, per il semplice motivo che in Italia solo l’intensivo ha voce in capitolo.
Eppure, paradossalmente, è il modello che ha le migliori prospettive. Basterebbe che il latte venisse pagato in funzione della qualità, naturalmente di quella aromatica e nutrizionale e non le stupidaggini di grasso, proteine, etc., proprie della logica industriale. Una proposta rivoluzionaria che rimetterebbe le cose al proprio posto: “a ciascuno il suo”, il latte, e tutto il lavoro che c’è dietro, verrebbe pagato il giusto, per il valore reale e non per quello legale.
Ma non lo permetteranno, i piccoli devono chiudere per lasciare spazio ai grandi.
Nel nostro piccolo, una idea la stiamo portando avanti: il Latte Nobile. In pratica, un metodo diverso per “leggere” e valutare il latte, la sua separazione dal latte di miscela, e l’offerta al consumatore di un latte diverso, nel sapore, nel valore nutrizionale e nel prezzo. L’allevatore riceve circa il 50% in più del prezzo standard, vedendo in tal modo ripagati gli sforzi del suo lavoro, ed il consumatore paga a sua volta di più il latte che aspettava, con una personalità percepibile e con un valore nutrizionale elevato.
Ce lo permetteranno? Noi andiamo avanti: www.lattenobile.it.
di Roberto Rubino
presidente ANFoSC
(Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo)
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