220 febbraio 2014 – La questione Ogm è di nuovo rimbalzata sul web e sui giornali in questi giorni. Il fronte del “no” tiene duro. Alcuni risultati della ricerca sembrano dare sostanza ai dubbi della prima ora. Solo per restare dalle nostre parti, Federico Infascelli, professore dell’Università di Napoli riporta che «l’aver indotto la resistenza a Ostrinia nubilalis introducendo il gene Cry 1Ab proveniente da Bacillus thurigiensis, ha in qualche modo comportato una modificazione della struttura dell’amido presente nel contenuto cellulare. Tali risultati consentono innanzitutto di rilevare l’inadeguatezza del principio di “sostanziale equivalenza nutrizionale” qualora essa si basi sulla similitudine delle sole caratteristiche chimiche».
Più agguerriti del solito, hanno ripreso voce i difensori degli Ogm. Gli allevatori lamentano a gran voce l’handicap rispetto alla concorrenza per il fatto di dover utilizzare sementi non Ogm, con maggiori costi e maggiori danni per l’ambiente. Una parte del mondo scientifico taccia di oscurantismo chi vorrebbe ulteriori approfondimenti ed il blocco degli impianti in Italia.
Nulla di nuovo, è già successo dopo la scoperta dell’America, con lo stesso mais prima, ed in maniera altrettanto violenta con la patata.
A me questa diatriba non appassiona molto e non perché non voglio prendere posizione, ma perché non condivido la logica che sta dietro il modello intensivo. Orami in campo animale ed in quello vegetale tutto si è ridotto alla genetica, il progresso, il futuro può dipendere e dipende solo dalla genetica, dalla capacità che avranno i ricercatori di individuare sementi e genotipi capaci di produrre sempre il massimo e di resistere alle malattie. Sementi ed animali spinti al massimo e chiaramente, per poter sostenere quei livelli produttivi, giù con concimi e mangimi di qualsiasi tipo, l’importante è che non costino molto. E via con la monocultura, abbasso la biodiversità, fastidiosa, arcaica e romantica. E chi se ne frega se gli animali dopo un paio d’anni vanno al macello, se, visto che sono selezionati soprattutto per resistere alle malattie, sono talmente deboli che basta un refolo di vento per buttarli a terra, tanto l’importante è che sopravvivano per almeno un paio d’anni.
Siamo sicuri che un giorno la natura non ci presenterà il conto? Nel passato qualche avvisaglia c’era stata. Il milione di morti in Irlanda a causa della Dorifera della patata e le conseguenze enormi della Fillossera a chi vanno attribuite se non alla monocultura selvaggia? Negli ultimi cinque anni ci troviamo di fronte a vere e proprie epidemie fitosanitarie le cui conseguenze non riusciamo nemmeno ad immaginare. Penso all’Actinidia, alla Palma Canariensis e ancora di più al Cinipide del Castagno, che ha semplicemente annullato le produzioni, e poi all’Olivo, il cui futuro sembra molto in forse. Non so dire quanto tutto questo c’entri con la genetica, ma possiamo escludere che questa voglia di novità e di cultivar sempre più sofisticate non siano state l’elemento scatenante? Come mai solo adesso e tutte insieme? E a chi toccherà dopo?
Ma torniamo al mais ed alle vacche ultraselezionate. E sì perché le cose vanno viste insieme. Abbiamo bisogno di mais a basso costo perché dobbiamo alimentare vacche super-produttive con quantità enormi di silo-mais e soia. La seconda è transgenica, il primo no, perché la soia si produce in Argentina e Brasile, quindi lontano dai nostri patri suoli. Per produrre quel mais ci vuole acqua, tanta acqua, e azoto, tanto azoto. Poi il mais lo insiliamo, ne alziamo enormemente l’acidità e lo distribuiamo abbondantemente agli animali con esagerate quantità di mangimi (Ogm e non). Tutti questi alimenti sono però preventivamente miscelati, altrimenti l’animale ne rifiuterebbe una gran parte (è selezionato, ma non scemo).
Grazie a questa cultura intensiva sono scomparsi i prati polifiti, i veri protagonisti della stabilità e della fertilità dei suoli, del benessere animale e della qualità del latte e della carne. La qualità dei fieni, fatta eccezione per le fasce alpine, è al di sotto di ogni sospetto, la qualità del latte alimentare è sconfortante.
Perché mai ci dovremmo preoccupare degli Ogm?
di Roberto Rubino
presidente ANFoSC
(Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo)
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