27 febbraio 2014 – Nel banco dei supermercati il prezzo del latte alimentare varia da 1,00 euro a 1,60 al litro. Sappiamo, e l’ho scritto più volte, che non c’è alcuna relazione fra il prezzo e la qualità però questa volta vorremmo cercare di capire se almeno il produttore, l’allevatore che ogni mattina e per tutto l’anno si alza per assicurare a noi un alimento prezioso, riceve il giusto guadagno. Meglio ancora: se il consumatore paga il latte 1,60 euro al litro, quindi il prezzo più alto, che probabilità ci sono che l’allevatore che ha contribuito a produrre quel latte riceva la remunerazione più alta?
Quindi, noi non vogliamo sapere se all’allevatore che produce un buon latte, tale qualità viene riconosciuta, perché la risposta è no, ma almeno se gli allevatori producono quel latte così caro ricevono, almeno essi, meritatamente o immeritatamente un prezzo più alto? Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, ha detto che il mangiare è un atto agricolo. Quindi, se io pago un prezzo alto per il latte che compro, mi aspetto che anche l’allevatore abbia ricevuto la giusta quota di quei soldi.
Allora vediamo come si forma il prezzo del latte. Annualmente le Organizzazioni sindacali si riuniscono per definire e concordare il prezzo nazionale del latte. Quindi si parte con il prerequisito che tutto il latte è uguale. Poi però ci sono gli accordi regionali e a volte locali. Il prezzo unico funziona da soglia e su questo poi si calcolano le cosiddette “premialità” o le penalità, in funzione dei parametri previsti per l’Alta qualità: proteina, grasso, carica batterica e cellule somatiche. Noi sappiamo che questi parametri non hanno alcuna relazione con la qualità aromatica e nutrizionale, quindi il consumatore, che è poi quello che paga, non viene tenuto in alcun conto in queste trattative. Teoricamente, in base a questi accordi, in Italia dovremmo avere un prezzo base, uguale più o meno dappertutto e poi variazioni verso l’alto o il basso per le cose che abbiamo detto.
Invece così non è. Il prezzo base è diverso da regione a regione, da comune a comune e, spesso, all’interno dello stesso comune ci sono più prezzi. Come mai? Le motivazioni sono almeno due. L’Italia è forte importatrice di latte e, quindi, il prezzo nazionale non può non risentire del prezzo del latte importato. E poi, iI molte aree, laddove le grandi aziende non riescono ad intervenire, il latte viene raccolto da padroncini, proprietari della cisterna, che fanno da intermediari fra l’allevatore e l’azienda o meglio, che decidono di fatto il prezzo del latte in base alla loro forza o debolezza. Quindi, in un territorio circolano i padroncini e le cisterne delle grandi aziende. I primi, quando il prezzo del latte straniero è inferiore a quello della loro area, tengono in tensione gli allevatori minacciandoli di abbassare il prezzo del latte perché trovano più conveniente il latte estero (spesso di migliore qualità, purtroppo, e ne abbiamo già parlato in precedenza).
Quando invece il prezzo è superiore a quello italiano, come in questo momento, gli allevatori non ricevono un aumento, come sarebbe nella logica, bensì devono accontentarsi dello stesso prezzo perché i caseifici e le aziende, che in quel momento sono costrette a pagare prezzi più alti per il latte estero, non possono non scaricare sul latte italiano la loro debolezza. Le grandi aziende si comportano differentemente. Non si lasciano influenzare dal prezzo del latte estero, applicano rigorosamente il metodo dell’alta qualità per le aziende intensive (che vengono così stimolate a produrre un latte sempre più modesto), ma tengono saldamente in mano anche le piccole aziende, con prezzi anche più sostenuti, perché proprio grazie al latte delle piccole stalle riescono a sollevare la qualità media del latte immesso in commercio.
Alla fine però il latte viene tutto miscelato ed il legame con il territorio e con l’allevatore svanisce. Quindi, le probabilità che ci sia una relazione fra la qualità ed il prezzo e fra quest’ultimo e la remunerazione dell’allevatore sono minime, o quasi nulle.
L’unica eccezione rimane il Latte Nobile, dove all’allevatore viene riconosciuta una maggiorazione di circa il 50% ed al consumatore una qualità scientificamente dimostrabile e dimostrata.
di Roberto Rubino
presidente ANFoSC
(Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo)
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