Il latte fa bene, il latte fa male: e se lo chiedessimo a Darwin?

 

6Un'immagine dal sito web del Latte Nobile: il buon latte non è bianco. È giallino, e contiene tanti nutrienti che nel latte industriale non sono quasi per nulla presenti marzo 2014 – C’è una parte di consumatori che osteggia fortemente il latte ed i formaggi. Lasciamo da parte le scelte di carattere ideologico, proviamo a restare sul terreno scientifico e su dati di istituti di ricerca seri e prestigiosi. Da una decina d’anni sotto accusa c’è l’Igf-1, un fattore di crescita che aumenta di molto nel nostro sangue a seguito dell’ingestione di latte. Quando l’Igf-1 è alto, aumentano le probabilità di avere tumori della prostata e del seno. Non solo, ma altre ricerche hanno dimostrato che anche livelli bassi possono essere pericolosi per tante altre malattie. Qual è il meccanismo. L’ingestione di latte e formaggi stimola la produzione di insulina con conseguente aumento nel sangue. Col tempo, nonostante ce ne sia tanta nel corpo, essa smette di funzionare (insulino-resistenza) e ne seguono tutti i problemi appena citati.

Naturalmente nessuno vuole mettere in discussione questi risultati, non ne ho le competenze e, per la verità, non ce n’è bisogno. A queste conclusioni, che vengono spacciate quasi come assiomi, non dimostrabili, oppongo solo due osservazioni.

Stiamo parlando di latte e formaggi, non di Ogm, cioè di un prodotto che appare per la prima volta sulle tavole dei consumatori. Di formaggi scrive Omero, raccontandoci come Polifemo producesse quello che oggi è il Canestrato. Il consumo di latte fresco viene anch’esso da lontano. Non ho dati storici, certo nel Medioevo c’era anche chi guardava con disgusto quel pus che usciva dalle mammelle, ma molti autori ci raccontano della bontà del latte di capre e di come i medici lo raccomandassero ai pazienti. Domanda: come è possibile che la natura abbia messo a disposizione un alimento di per sé pericoloso e non abbia, al contempo, provveduto a creare anticorpi, difese comportamentali? Paracelso diceva che è la dose che fa il veleno. In natura ci sono molte piante velenose, ma gli animali sanno come evitarle, evidentemente perché queste hanno molecole odorose ripugnanti o la cuticola urticante. E poi – se stiamo dalla parte di Darwin – se il latte fosse stato un alimento pericoloso o avremmo già avuto il tempo per assuefarci oppure saremmo tutti morti.


Forse il latte non è più quello di una volta ed allora passo alla seconda osservazione.

La quasi totalità dei nutrizionisti, degli scienziati e della stampa, quando parla di latte (e di altri prodotti alimentari) usa il singolare. Il latte, il formaggio fanno male perché contengono il colesterolo, l’Igf-1, ecc. Domanda: tutto il latte è uguale? Tutti i formaggi, la pasta, la carne ecc., sono uguali. Verrebbe da dire: elementare che no, Watson!

Per la verità il mondo zootecnico non ha fatto molto per indirizzare la lettura delle questioni del settore verso una multi direzionalità. Tutto il latte viene miscelato, la legge 169/89 dell’alta Qualità dice anche che il latte non solo è uguale (salvo eccezioni che, se lo sono, lo sono all’opposto) ma anche il meglio possibile, tutti i siti che parlano di latte, anche quelli teoricamente scientifici, sembrano più opuscoli per turisti di passaggio, il consumatore non ha strumenti per, non solo capire, ma anche vedere le differenze.


Questo però non vieta agli studiosi di aprire gli occhi, di guardarsi intorno, di marciare qualche volta contro corrente. Popper diceva che lui stava dalla parte di quel soldato che mentre marciava, cercava di capire le motivazioni per le quali tutto il battaglione andasse fuori passo rispetto a lui.


Il latte non è uguale, o meglio lo è (quasi) se prendiamo in considerazione i soliti parametri: grasso, proteine, carica batterica e cellule somatiche. Stiamo studiando il rapporto omega6/omega3, che deve essere il più basso possibile. Negli animali al pascolo è 1; nel latte Nobile è sotto 5, spesso intorno a 2,8; negli animali alla stalla oltre 10. Il Grado di Protezione Antiossidante (Alfatocoferolo+betacarotene/colesterolo) che, questa volta, deve essere il più alto possibile, negli animali alla stalla è tra 4 e 5, in quelli al pascolo quasi 20. Vi sembrano valori simili? Si può parlare di latte al singolare? Ma se volete fare voi una prova a casa, mettete a confronto un burro prodotto da latte di Alta qualità ed un burro giallo, da latte di animali al pascolo, quasi sempre proveniente dall’estero. O provate a vedere la differenza che passa fra una ricotta di animali al pascolo e di Alta qualità. Un abisso.


Sull’Igf-1 sarà vero quello che hanno studiato e ritrovato, ma sarebbe opportuno che si capisse anche quale fattori scatenano i picchi di Igf-1. Vuoi vedere che scopriamo che dobbiamo anche questa novità al sistema intensivo?

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di Roberto Rubino

presidente ANFoSC

(Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo)


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