C’è la rincorsa alla modernità alla base della crisi bufalina

Antonio Lucisano, direttore del Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana Dop, presenta il Mozza-box
Antonio Lucisano, già direttore del Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana Dop

8 maggio 2014 – La settimana scorsa si è dimesso Antonio Lucisano, direttore del Consorzio di Tutela della Mozzarella di Bufala Campana. Cronaca di una morte annunciata di quel sistema produttivo? Non si può escludere, ma non per i motivi ufficiali per cui Lucisano si è dimesso (leggi qui), e non certo per quello che seguirà alla sua uscita di scena. Le ragioni della crisi della Mozzarella più famosa al mondo vengono da molto lontano, da quando la “sciagurata rispose” alle sirene della modernità, scegliendo un modello di allevamento che non gli è proprio: quello intensivo della vacca da latte.

Nel dopoguerra la bufala aveva lentamente recuperato la sua immagine di animale legato alle aree paludose della Penisola attraverso un sistema di alimentazione basato su ottimi fieni ed una tecnica di caseificazione sempre più raffinata e perfetta. Quando il consumatore ha scoperto quella meraviglia che è la mozzarella, ha naturalmente determinato una lievitazione importante della domanda. Il prezzo del latte era diventato allettante, la domanda in salita, occorreva aumentare la produzione e l’offerta. I modelli da scegliere erano tanti. Io spesso metto in relazione la mozzarella di bufala con lo Champagne: entrambi hanno bisogno di una materia prima di tutto rispetto ed entrambi utilizzano una tecnica superlativa.

L’unica differenza è che nello Champagne i produttori hanno dato molta importanza alla qualità dell’uva, tanto che il suo prezzo varia da comune a comune e spesso da produttore a produttore. Ma non solo: il prezzo è poi legato al valore della bottiglia in cantina. Quindi, quel settore privilegia ed esalta la qualità della materia prima. Nel mondo della bufala invece il prezzo del latte è sempre uguale e, se viene stabilito in funzione della  qualità, si tiene conto del grasso, che con la qualità non ha alcuna relazione. Se questo modello era troppo complicato, si poteva optare per quello del Parmigiano Reggiano – latte crudo e divieto di insilati – o del Comté: latte crudo, divieto di insilati, due livelli di qualità e stagionatura in cantine naturali. Invece si è scelta la scorciatoia della vacca da latte: selezione di razza, insilato e unifeed.  Non prendendo però in considerazione il risultato finale di questo modello: un latte di “Alta qualità”, che come sappiamo è fra i più scadenti, ed una deriva della qualità dei formaggi, tanto che oggi i formaggi prodotti con il latte di Alta Qualità dei sistemi intensivi hanno i prezzi più bassi del settore.

Quindi, perché meravigliarsi che il settore è in crisi? La selezione, la fecondazione artificiale, la “sincronizzazione” non hanno fatto altro che far aumentare la produzione di latte, ma si sa che la relazione fra qualità e quantità è sempre negativa. Nel settore del vino se vuoi fare un prodotto eccellente devi ridurre le produzioni per ettaro e per pianta. Il Consorzio dello Champagne ultimamente ha ulteriormente abbassato il limite massimo delle produzioni per ettaro. Se alla selezione aggiungiamo il silo-mais, i concentrati e l’unifeed, il gioco è fatto: abbiamo portato ai livelli minimi la qualità del latte. Complessità aromatica modesta, valore nutrizionale scarso. Qualche mese fa abbiamo fatto un’analisi del latte di bufala ed il rapporto omega6/omega3 era più alto di quello del latte bovino, segno che quell’allevamento da cui abbiamo preso il campione alimentava gli animali con abbondanti mangimi. Oggi quindi sul mercato c’è una enorme quantità di latte in gran parte di modesta qualità. La soluzione per uscire dalla crisi dovrebbe quindi essere quella di porre dei paletti al disciplinare soprattutto per quello che riguarda l’alimentazione (mettere un limite ai concentrati, abbassare  la produzione di latte ed alzare la qualità). Solo così il prezzo del latte aumenterà, diminuiranno i problemi sanitari ed ambientali ed il settore potrà ripartire.

Il Consorzio di Tutela vorrebbe tamponare la crisi scegliendo la strada più semplice. Invece di cambiare il disciplinare per recuperare la qualità, si preoccupa di impedire eventuali frodi. Anche in questo caso un modello da seguire c’era: il Ragusano, negli ultimi anni ha recuperato la qualità e l’immagine non perché il Consorzio di Tutela è intervenuto per prevenire le frodi – il Consorzio non c’era e solo da qualche mese ha ripreso l’attività – ma perché il CoRFiLaC di Ragusa, l’ente di certificazione, ha avuto la professionalità e la fermezza per imporre un disciplinare rigoroso ed il rispetto dello stesso. Ha preteso che gli animali fossero al pascolo, che si usassero i tini di legno, il latte crudo e la stagionatura secondo le regole d’un tempo. Quindi è l’Ente di Certificazione che garantisce consumatori e produttori, non il Consorzio, che ha altre funzioni. Invece nel settore della bufala ognuno naviga a vista ma, come diceva Seneca, “a che serve al marinaio la brezza se non sa dove andare?”

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di Roberto Rubino

presidente ANFoSC

(Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo)


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