20 novembre 2014 – Il Venerdì di Repubblica del 14 novembre riporta un articolo, insolito per questo tipo di rivista, dal titolo: “Altro che vita da cani ora le mucche si rifanno”. La giornalista Laura Laurenzi commenta, dal suo punto di vista, nella rubrica “Che bellezza”, la notizia che alla Fiera di Cremona gli allevatori hanno assunto dei parrucchieri specializzati per rendere più seducente l’aspetto delle vacche pronte per la sfilata. Non solo, ma: “il parrucchiere per bovini rasa il pelo dall’animale in modo da mettere in evidenza pregi e sfumare: grande attenzione alla testa ma anche alla linea dorsale detta cresta, simbolo di robustezza e longevità delle vacche”.
Quest’ultima frase la possiamo prendere a paradigma della situazione attuale della vacca da latte. Per carità, niente da dire alla giornalista, che nella vita si occupa, e bene, di altri argomenti. Ma se ha scritto longevità, qualcuno glielo avrà pur detto e questo qualcuno sarà uno dei grandi tecnici che bazzicano da quelle parti. Ebbene, la longevità delle vacche non è stata mai così bassa, anzi il metodo di allevamento che quegli stessi allevatori che intolettano la vacca praticano, è esattamente il responsabile del cattivo stato di salute degli animali e della loro precoce andata al macello. Questo rito che si ripropone tutti gli anni mi fa venire in mente un’altra considerazione sul metodo di valutazione della vacca.
Quando ero studente all’Università di Portici, avevamo un esame che si chiamava Zoognostica. Non so se questa materia si studi ancora. Ma mentre Lombroso era stato giustamente messo da parte per la sua teoria sulla fisiognomica, negli animali – ed anche nel mondo del calcio dove Gianni Brera sentenziava che solo i bianchi e soprattutto quelli dell’Europa centrale potevano diventare campioni perché avevano il baricentro più basso – si affermava il principio che la forza, la capacità di produrre latte si poteva valutare e giudicare dall’aspetto fisico dell’animale. Ci raccontavano – come fosse oro colato – che una vacca, per essere una buona produttrice di latte, doveva essere magra, con appiombi diritti per evitare zoppie, con mammelle ben attaccate ed enormi, etc. E poi, per non farsi mancare niente, il mondo degli allevatori si fece approvare la legge 169/89, quella che ci ha regalato il latte di Alta qualità, che chiudeva il cerchio dell’illusione: vacca magra, con ossa al posto giusto, farà una quantità enorme di latte che, per di più, sarà di Alta Qualità.
Senza scomodare i risultati della ricerca degli ultimi venti anni, che ci dicono esattamente il contrario, riporto quanto mi disse un giorno un tassista spagnolo che mi accompagnava a un concorso di formaggi sul Pico d’Europa. Risalendo lungo i tornanti della montagna, il tassista mi raccontò che il padre aveva otto vacche, ma ai figli dava solo il latte della vacca più grassa e che faceva meno latte. Quella vacca sarebbe stata scartata al concorso della Fiera di Cremona ma in compenso ha nutrito nel migliore dei modi i figli dell’allevatore, ha vissuto felice sui pascoli asturiani ed a lungo.
Le nostre belle vacche, che prendono punteggi da favola ai concorsi e che vengono pagate anche a prezzi esagerati, da campionesse appunto, vivono l’espace d’un matin, e male, perché il veterinario non chiude mai la porta della stalla tanto deve ritornare subito, e in più, ci danno il peggior latte possibile. E però, si permette il lusso di partecipare ai concorsi di bellezza truccata da parrucchieri di grido!
di Roberto Rubino
presidente ANFoSC
(Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo)
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