Qualità casearia: tutti i casari ne parlano e nessuno conosce neanche la propria

 La filatura della mozzarella ovina prodotta dal caseificio sardo Pab'è is TèllasaLa filatura della mozzarella ovina prodotta dal caseificio sardo Pab'è is TèllasaLa filatura della mozzarella ovina prodotta dal caseificio sardo Pab'è is Tèllasa17 dicembre 2015 – Fateci caso: appena si respira aria natalizia, i media riprendono fiato con le pubblicità dei panettoni e, a seguire, con quelle dei formaggi: ovviamente Parmigiano Reggiano e Grana Padano, perché da soli rappresentano quasi il 40% della produzione nazionale, e poi Gorgonzola e altre Dop per così dire “minori”.

Quest’anno però c’è una novità: l’azienda Francia Latticini, che produce essenzialmente paste filate nei caseifici di Pontinia, Sonnino (entrambi in provincia di Latina) e Berlino (Germania), ha in programmazione in questo periodo uno spot televisivo (intitolato “La scelta”) in cui appare una mano indecisa fra tre mozzarelle: la prima di queste, gialla, fa di tutto per convincere il consumatore a scartare tanto quella gialla – perché “prodotta con acido acetico” – quanto quella prodotta con semilavorati – perché “è un pezzo di ghiaccio(!?!)” – e a scegliere invece la mozzarella Francia, fatta semplicemente con latte pastorizzato, fermenti – naturalmente vivi – e caglio.

Quando un nuovo soggetto si fa strada in un settore in grande difficoltà in genere è una buona notizia, sia perché trasmette un messaggio di speranza, sia perché il messaggio pubblicitario potrebbe animare e migliorare (si spera) il livello culturale e del dibattito in quel settore.

Non dobbiamo dimenticare che l’Italia è il Paese in cui l’industria lattiero-casearia si è fatta approvare una legge, quella dell’Alta Qualità del latte alimentare, che – a dispetto del nome – poco ha a che vedere con la qualità. Anzi, dal momento che per definire quella qualità sono stati consacrati come parametri determinanti il grasso, le proteine, la carica batterica e le cellule somatiche, vale a dire parametri che niente hanno a che fare con la qualità reale del prodotto, è chiaro che questo tipo di cultura ha determinato un peggioramento della qualità dei formaggi e, più in generale, della cultura casearia nazionale. E il caso della Francia Latticini è solo l’ultimo degli esempi, anche se il più eclatante e sintomatico.

Basta condurre le vacche al pascolo, od alimentarle con un buon fieno polifita: le mozzarelle saranno gialle, e saranno buone al palato e per la nostra salute - foto Azienda Agricola Zoff® - Borgnano di Cormons (GO)Ma ritorniamo ora alla pubblicità in questione. La mozzarella gialla dice di non meritare di essere prescelta perché è gialla, e che il giallo dipende dall’acido acetico (o citrico). Ora, ormai sono pochi a non sapere che il giallo nei formaggi, almeno in quelli di vacca e un po’ meno in quelli di pecora, dipende solo ed esclusivamente dai carotenoidi e soprattutto dal beta-carotene, che a sua volta dipende dalle erbe contenute nella razione alimentare dell’animale. E poiché la qualità nutrizionale e aromatica dipende solo dalle erbe, allora giallo vuol dire qualità e null’altro. Se un formaggio è giallo, è sicuramente di qualità.

Qualcuno dovrebbe avvisare quindi i tecnici dell’azienda pontina, informandoli del fatto che questa specificità è conosciuta da un secolo e forse più. Ma non solo. La pubblicità dice che la colpa del giallo è dell’acido acetico. È vero che oggi la gran parte delle paste filate è prodotta con l'”aiutino” dell’acido acetico, ed è anche vero che questa tecnica deprime la qualità, perché in pratica annulla la biodiversità microbica presente nel formaggio. Ed è inoltre vero che l’acido citrico – o acetico – è responsabile della colorazione delle mozzarelle, ma non di quelle gialle, bensì di quelle blu. E questo perché con l’acido citrico la mozzarella fila a un pH più alto, intorno a 5,6, e a quel pH le difese si abbassano. Quando la presenza dello pseudomonas fluorescens è alta, le mozzarelle – dopo qualche giorno – diventano blu. Quindi, è lampante: non esiste nessuna relazione fra il giallo del latte e l’acido citrico.

Ma andiamo avanti con ordine. L’altra affermazione riguarda i semilavorati, che assomigliano a pezzi di ghiaccio: e forse vogliono dire che la pasta è dura, poco elastica. Non so esattamente cosa intenda Francia quando parla di semilavorati. In genere si fa riferimento alle cagliate che arrivano dall’estero e con le quali in Italia si fanno la gran parte delle paste filate. Ma queste cagliate arrivano in buone condizioni e, soprattutto, sono prodotte con un latte di qualità spesso più elevata del latte italiano. Senza scomodare quello che arriva dall’Argentina o dalla Nuova Zelanda, la cui qualità è irraggiungibile, basti pensare all’Austria, dove c’è una cultura del fieno di tutto rispetto e ai paesi del Nord, dove d’estate la gran parte degli animali sono al pascolo. Il problema non sono le cagliate, quindi, ma la tecnica che i caseifici usano per produrre la pasta filata. Se pastorizzi e usi acido citrico è chiaro che abbassi la qualità, anche se questa dipende comunque in larga parte dalla qualità del latte.

Insomma, Francia Latticini si vanta di fare la mozzarella con latte pastorizzato e con fermenti, senza far cenno alla qualità del latte utilizzato. E per magnificare questi modesti fattori di produzione e nell’intento di screditare gli altri, utilizza parole-chiave senza senso, anzi sbagliate.

Ho sempre apprezzato molto la pubblicità del Tavernello. L’azienda non si vanta di fare il miglior vino, non discredita i concorrenti ma dice solo che dietro quel vino ci sono migliaia di produttori che cercano di fare bene il proprio lavoro. In questo modo non si offendono i consumatori e non si danno messaggi fuorvianti.

Questa pubblicità invece fa capire, se mai ce ne fosse stato bisogno, che l’industria casearia continua a essere bloccata sulla tecnica di produzione: basta aggiungere o togliere qualcosa al latte per fare un formaggio diverso. E ci fa comprendere anche che l’industria italiana non investe nella ricerca, che il livello tecnico dei suoi dirigenti è al di sotto di ogni sospetto, che la deriva della qualità dei formaggi è per loro un fatto secondario, rimediabile a colpi di tecnica. Alla debolezza del settore primario, della produzione del latte, si affianca una debolezza altrettanto grave  da parte dell’industria.  E poi ci chiediamo perché il settore è in crisi e perché le aziende continuano a chiudere.

In questi ultimi anni ho assistito a centinaia di presentazioni di buoni e ottimi formaggi, fatte da protagonisti che i loro prodotti non li sanno raccontare: ho avuto quindi conferma del fatto che spesso che chi fa qualità, la fa senza averne coscienza. Il buon formaggio ha classe, ma quasi sempre il produttore non conosce i motivi delle sue specificità. E dopo questo nuovo spot di Francia vale la pena dire – ed il paradosso è palese – che anche chi non fa qualità, lo fa a sua insaputa.

17 dicembre 2015

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di Roberto Rubino
presidente ANFoSC

(Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo)


Si ringrazia
l’Azienda Agricola Zoff di Borgnano – Cormons (GO) per la foto delle sue “Zoffarelle”, le mozzarelle gialle che sanno di pascolo


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