Dopo il delisting avviato all’inizio dello scorso dicembre (96% delle azioni nelle mani dell’azienda) per preparare la propria uscita dalla Borsa di Milano, Lactalis si è messa al lavoro con il fine di attuare quello che appare a tutti gli effetti lo smembramento del gruppo Parmalat. Se così fosse, sarebbe il penultimo atto di quello che fu l’“impero dei Tanzi”, di cui in un prossimo futuro (a maggio, con la possibile acquisizione del restante 4% delle azioni) potrebbe rimanere poco più che il brand, irrinunciabile per mantenere le posizioni acquisite nei mercati del Sud e del Nord America.
Per la proprietà francese è arrivato adesso il tempo di una radicale riorganizzazione aziendale, che porterà tutte le filiali del gruppo – con sedi in Francia e altrove – a rispondere direttamente ai vertici aziendali nel quartier generale dell’azienda, a Laval, nella Loira occidentale.
La riorganizzazione dell’azienda della famiglia Besnier, comunicata ai dipendenti tre giorni dopo la scorsa Epifania, si basa sulla creazione di nove divisioni: cinque geografiche, una dedicata esclusivamente all’export e tre ai prodotti (formaggi, ingredienti e fresco). Ogni divisione sarà nelle mani di uomini di fiducia dei Besnier, tutti rigorosamente francesi, che risponderanno direttamente ai vertici dell’azienda.
Con questa operazione la stessa Parmalat viene aggregata a Lactalis Italia – al cui vertice siede dal luglio del 2017 Jean-Marc Besnier – assieme a brand come Galbani, Locatelli, Cademartori. Di fatto gli otto anni (2011-18) in cui la proprietà francese ha lasciato a Parmalat la sua italianità, una qualche autonomia gestionale – e la sua forza lavoro – sono stati una parentesi verso un’acquisizione che oggi ci appare spietata, se quelli che si stanno concretizzando erano già in origine – come è lecito ipotizzare – obiettivi in larga parte studiati a tavolino.
Per ciò che concerne l’occupazione, se si vuole dare credito alle rassicurazioni fatte circolare dai vertici Lactalis in questi giorni, le maestranze Parmalat potrebbero mantenere il posto di lavoro. Un futuro quantomeno incerto potrebbe invece attendere la dirigenza aziendale operante a Collecchio e nelle filiali sparse per il mondo, nonostante la proprietà si stia prodigando nello spendere buone parole sia per la professionalità del proprio team che per i risultati conseguiti in Italia e più in generale da tutto il “pianeta Parmalat”.
Nonostante le rassicurazioni ricevute, i sindacati sono in stato di allerta, fermamente intenzionati a chiedere un incontro con l’azienda, ma già pensano alle forme di mobilitazione da attuare. “Ci aspettiamo”, affermano i rappresentanti dei lavoratori, “che anche il governo segua la vicenda da vicino e che faccia sentire la sua voce”. In questa direzione la minoranza Pd in Parlamento presenterà “nei prossimi giorni” – lo ha dichiarato l’ex ministro Maurizio Martina incontrando i lavoratori della Parmalat – “una “question time”, chiedendo al Governo una presa di posizione e un intervento”.
4 febbraio 2019