“Agli altri lasceremo le briciole”. Potrebbe riassumersi in questa breve frase l’attuale sigillo ideologico di Lactalis, il colosso europeo del latte che dopo un 2018 un po’ sulle spine (prima le forti critiche per l’assalto al Camembert, poi una gogna mediatica infinita, per aver sparso salmonella nel mondo causando centinaia di piccole vittime), pare aver iniziato il 2019 in modo spietato (dallo smembramento di Parmalat alla gamba tesa sul Roquefort), mettendo le mani adesso, a quanto pare, sul formaggio-simbolo dell’industria italiana – il Parmigiano Reggiano – attraverso una rilevante partecipazione nella Nuova Castelli di Reggio Emilia, azienda con oltre mille dipendenti e venti sedi nel mondo.
Tra i primi a parlarne, mercoledì scorso, 22 maggio, sono stati l’Ansa, Il Sole 24 Ore e il Corriere della Sera, dando sostanza alle voci su una possibile entrata del gruppo francese nella partnership dell’azienda reggiana, che da mesi, attraverso il fondo Charterhouse Capital, è alla ricerca di un socio investitore. La cifra che Lactalis si troverebbe a mettere sul piatto, attraverso un aumento del capitale sociale, si aggirerebbe attorno ai 45 milioni.
Oltre a produrre Parmigiano Reggiano, Grana Padano e Gorgonzola, la Nuova Castelli è tra i leader internazionali nella distribuzione di formaggi italiani Dop, ed è il principale esportatore di Parmigiano Reggiano nel mondo. Nel 1998 la società aveva cambiato nome, passando da Castelli SpA all’attuale denominazione, a seguito dell’acquisizione da parte di un gruppo di investitori, capeggiati dal reggiano Dante Bigi. In seguito, nel 2014, il passaggio agli inglesi di Charterhouse Capital, che attualmente detengono l’80% del capitale societario.
Venendo all’oggi, il giro d’affari che l’azienda ha conseguito nel 2018 si aggira attorno ai 460 milioni di euro, con una situazione debitoria importante (circa 190 milioni di euro) che avrebbe appunto spinto l’azienda a cercare coperture da parte di un nuovo investitore.
Per Lactalis, che attualmente detiene un terzo del mercato italiano del settore lattiero-caseario in comparti strategici, si tratterebbe dell’ennesima acquisizione di un marchio italiano, dopo quelli di Locatelli, Invernizzi, Galbani, Cadermartori e Parmalat. Da considerare che nel paniere di Nuova Castelli sono presenti altri prodotti del “made in Italy” che evidentemente fanno gola all’azienda della famiglia Besnier: dal Grana Padano al Gorgonzola, dal Taleggio alla Mozzarella di Bufala, e altri ancora.
Laconico il commento del ministro Centinaio, che pur sapendo quanto la politica sia disarmata di fronte ai giochi dell’alta finanza, nella serata di mercoledì, forse sotto la pressione delle esternazioni di Coldiretti (sui temi logori del “made in Italy” da difendere e dello scippo delle “tipicità”) e UeCoop (l’”unione europea” delle cooperative, intervenuta anche sui temi dell’occupazione) ha dichiarato che «faremo di tutto per tutelare l’agroalimentare italiano dall’assalto delle multinazionali straniere”.
«Il Parmigiano Reggiano», ha proseguito il ministro agricolo, «è uno dei prodotti più rappresentativi del made in Italy, un vanto della nostra eccellenza gastronomica. Si tratta di un marchio storico che va difeso senza se e senza ma: non possiamo permetterci che sempre più mani straniere controllino i nostri prodotti italiani». Parole al vento, come quelle del ministro Galan all’epoca dell’acquisizione di Parmalat.
«La nostra storia», ha concluso Centinaio, «va preservata, i marchi storici devono rimanere dentro i confini nazionali»: una frase che lascia alquanto perplessi, visto che a controllare la Nuova Castelli è da cinque anni – lo ripetiamo per lui, che forse non lo ha ancora capito – il fondo di private equity inglese Charterhouse Capital. Qualcuno lo dica al ministro: magari, alla prossima intervista, si farà trovare più preparato.
27 maggio 2019