Si è fatto un gran parlare, nei giorni scorsi, dell’accordo economico e commerciale Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement), ratificato da Canada ed Unione Europea senza che i media italiani ne abbiano seguito più di tanto, nel tempo, gli sviluppi, le insidie, le grandi trasformazioni che l’accordo rischia di disegnare nel futuro economico e democratico del Vecchio Continente.
Il Parlamento Europeo ha deciso, nella seduta di mercoledì 15 febbraio, di approvare il Ceta con 408 voti a favore, 254 contrari e 33 astenuti. Nonostante una profonda spaccatura nel partito socialdemocratico, alla fine l’accordo è andato in porto. In Europa entrerà in vigore in forma provvisoria a partire dal 1° aprile, dopo l’approvazione del Canada, in attesa però dell’approvazione definitiva dei 28 Parlamenti degli Stati membri, che non è detto sia scontata. I sostenitori degli interessi dei gruppi di potere e delle multinazionali non cantino ancora vittoria: basterà un esito negativo da parte di uno degli Stati europei e il Ceta non avrà un futuro.
Il ruolo marginale dell’Italia
In questo scenario ancora una volta l’Italia si è dimostrata fanalino di coda nel far sentire la propria voce contro un accordo che evidentemente favorisce le multinazionali e i grandi centri di potere economico, infrange il diritto dei consumatori e delle classi deboli e pone gravi insidie alla democrazia.
A differenza dell’Italia, che – fatta salva qualche sana eccezione – pare non essersi accorta di nulla e che ora si beve come fosse il verbo la soddisfazione di qualche piccolo potentato lobbistico (esultano i consorzi del Grana Padano e del Parmigiano Reggiano, ma alla lunga ci sarà poco da ridere anche per loro, ndr), altri Paesi come Francia, Belgio e Germania hanno fatto sentire la loro opposizione grazie alle democratiche manifestazioni che dal settembre scorso sono tornate a vivacizzare il cuore politico di Bruxelles e Strasburgo. Manifestazioni che hanno ribadito le istanze democratiche di una società civile vigile e desiderosa di rivendicazioni sociali e di equità, determinata ad opporsi alle logiche che ancora una volta premierebbero le corporazioni e i grandi gruppi finanziari.
A fronte delle principali considerazioni ufficiali che sottolineano i contenuti apparentemente meno nocivi del Ceta (l’eliminazione di gran parte delle tariffe doganali tra Unione Europea e Canada; la possibilità per le imprese europee e canadesi di partecipare alle rispettive gare di appalto pubbliche; il riconoscimento reciproco di alcune professioni, come architetto, ingegnere e commercialista; l’adeguamento del Canada alle norme europee in materia di diritto d’autore; la tutela del marchio di alcuni prodotti agricoli e alimentari tipici Dop, Igp, Stg, Doc), la gran parte dei media italiani ha sinora taciuto sui rischi per la microeconomia europea, per il mondo del lavoro, per le piccole imprese, per la democrazia stessa.
A pagare il prezzo più alto saranno piccole imprese e democrazia
A sottolineare le non poche negatività insite nell’accordo è Monica Di Sisto, portavoce della Campagna Stop TTIP Italia, che dalle pagine del movimento sottolinea quanto sia «stata scritta una pagina oscura per la democrazia in Europa» ma che al momento «non tutto è compromesso». «La battaglia della società civile, prosegue la Di Sisto, «si sposta adesso a livello nazionale: monitoreremo gli impatti dell’accordo, dimostrando che avevamo ragione a criticarne l’impianto, e spingeremo il Parlamento italiano a bloccare questo trattato dannoso per i nostri cittadini e lavoratori. I parlamentari europei, in particolare socialdemocratici e popolari, hanno abdicato al loro ruolo di garanti dei diritti e dell’ambiente. Ma in Italia un simile atteggiamento non sarà tollerato. Le urne sono vicine, e gli elettori faranno pesare questa scelta sconsiderata ai partiti che li hanno delusi in Europa».
“Con l’applicazione provvisoria del Ceta”, insiste il sito web del movimento, “cadranno tariffe e quote su una vasta linea di beni e servizi commerciati tra i due blocchi, con prospettive negative per le micro e le medie imprese, i diritti del lavoro, la sicurezza alimentare, l’ambiente e i servizi pubblici. La Campagna Stop TTIP Italia chiede che dopo il 15 febbraio il Parlamento italiano smetta di tenere il commercio internazionale fuori dai propri radar e metta all’ordine del giorno il dossier Ceta, aprendo una consultazione con la società civile per venire a conoscenza dei gravi rischi che corrono l’economia del Paese, l’occupazione e la stessa architettura democratica.
A preoccupare molti osservatori giustamente critici nei confronti dell’accordo sono anche le clausole che favoriranno gli investitori a discapito dei lavoratori, dei consumatori e degli stessi Stati europei. tanto per dirne una, attraverso l’Ics (Investment court system), gli investitori potranno citare in giudizio gli Stati, ma questi ultimi non potranno fare altrettanto con gli investitori. In particolare l’intesa prevede che le impresa canadesi che dovessero operare investimenti in Europa, in caso di controversie per danni (ad esempio per un presunto calo di produttività derivante da uno sciopero sindacale) potrà fare causa alla sua controparte – fosse anche lo Stato – attraverso un tribunale privato o “corte speciale”, generalmente orientati a favorire le imprese rispetto ai lavoratori, ai cittadini e agli stessi Stati.
È per questo che il Ceta va visto per quello che è: un accordo totalmente sbilanciato in favore delle multinazionali, in grado di mettere fortemente in pericolo i piccoli in genere, dai consumatori alle piccole e medie imprese. Tornando a considerare i presunti vantaggi evidenziati da alcuni consorzi delle Dop, essi andranno a vantaggio di poche realtà maggiori (176 in Europa, 41 delle quali italiane), escludendo la maggior parte dei prodotti europei che si fregiano di un marchio di protezione (Dop, Igp, Stg, Doc, Ig): complessivamente 3.281 in Europa e 853 in Italia.
20 febbraio 2017
Per approfondire, leggi su Sputniknews l’intervista a Fausto Durante(*) intitolata “Per l’Italia il Ceta è un errore, ecco perché“
(*) responsabile per le politiche europee e internazionali della Cgil