Quant'era ampiamente prevedibile al momento dell'ingresso di Lactalis in Parmalat è oggi realtà: una triste, tragica realtà. Chiudono le centrali del Latte di Genova e di Villa Guardia, nel comasco (ex Carnini) e va in ginocchio il relativo indotto: il latte delle loro stalle non serve più. Il latte per le "grandi firme " è infatti una commodity, come il ferro lo è per l'industria siderurgica o il cotone per quella dei tessuti. Il latte l'industria lo compra sul mercato globale: dov'è più conveniente, dove costa meno.
Guai quindi a pensare che i latti possano essere diversi uno dall'altro (e via via questa logica permea il mondo dei formaggi più diffusi e globalizzati), com'era prima del secondo dopoguerra: da allora il depauperamento a cui l'industrializzazione del settore(1) lo ha portato, trascurando i nutrienti "nobili" in esso contenuti(2) ha spinto le grandi aziende a liberarsi dei "rami secchi", razionalizzare e, soprattutto spadroneggiare. Senza che nessuno, né la politica né gli organi di controllo del nostro Paese abbiano pensato – come nel caso di una Parmalat acquistata da Lactalis – di dover intervenire.
Ciò che più colpisce è lo stridore tra il dramma di quelli che perdono il lavoro e il fare distaccato di chi propone la sua "ricetta" per l'epilogo finale: destinare gli immobili ad uso commerciale (la massima prospettiva di lucro attualmente possibile) e riassorbire il personale (o parte di esso: non è ancora chiaro) in chissà quale riconversione possibile.
E mentre nel comasco c'è chi ha accolto la cosa con atteggiamento possibilista (ma lì pare si stia parlando di un polo logistico Parmalat), il presidente della Regione Liguria Claudio Burlando ha fermamente rigettato l'ipotesi che il sito di Fegino possa veder sorgere l'ennesimo centro commerciale genovese.
Per i lavoratori invece si va verso la cassa integrazione straordinaria, mettendo il loro futuro nelle mani di chi si aggiudicherà l'uso del sito. Il quale, piaccia o meno a Burlando, sembra che avrà un futuro commerciale. "L'azienda", spiega un comunicato congiunto dei sindacati Flai Cgil, Fai Cisl, Uila Uil, "si è impegnata a cedere il sito a imprenditori in grado di sviluppare attività non collegate al settore lattiero caseario ma in attività diverse, ad esempio commerciali, inserendo nel contratto di vendita il vincolo che l'acquirente si dovrà assumere l'onere della ricollocazione lavorativa dei lavoratori in cassa integrazione straordinaria".
Si apprende poi che l'azienda "ha inoltre confermato che sei lavoratori rimarranno come presidio Parmalat a Genova, mentre venti, se lo richiederanno, potranno andare a lavorare in una piattaforma logistica che opera in appalto da Parmalat. E per coloro che non dovessero trovare occupazione al termine del periodo di cassa integrazione straordinaria sarà erogato un incentivo all'esodo". La generosità del colosso francese è commovente.
A fronte degli impegni assunti da Parmalat, i sindacati chiedono "unitariamente un incontro urgente al sindaco Marco Doria e al presidente della Regione Claudio Burlando al fine di attivare un tavolo di confronto sulla vertenza, come concordato con il ministero dello Sviluppo Economico".
La testimonianza
Il sito web L'Isola dei Cassaintegrati ha dato spazio alla testimonianza di Stefano Semovigo, che diciotto anni fa veniva assunto in Centrale, a Genova, e che oggi, con altri sessantadue colleghi si trova a casa, in attesa che qualcuno là fuori decida per il suo futuro. Per leggerla clicca qui.
29 settembre 2012
(1) una zootecnia che dall'ambito agricolo è stata letteralmente trascinata in quello industriale, e non a caso le frisone iperproduttive vengono chiamate "macchine da latte"
(2) Cla, Omega3, vitamine, praticamente inesistenti quando gli animali si nutrono di insilati e mangimi