24 marzo 2009 – L’Italia ha fatto scuola a mezzo mondo, si sa, negli anni d’oro della propria cultura in ogni campo in cui le espressioni del fare, dell’ingegno, dell’estro, l’hanno vista eccellere in un’infinità di settori. Tanto in campo agroalimentare quanto nello sport, nella letteratura, nella musica, nelle arti in genere, nella scienza…
Altrimenti mezzo mondo non avrebbe adottato le terminologie di una lingua così poco diffusa all’estero. Sì, perché ovunque si vada, le arie del belcanto si chiamano da sempre “andante”, “adagio”, “fuga” “allegro”, “moderato”, senza che mai nessuno se ne sia dovuto lamentare. Anzi.
Ora accade, o meglio accade ormai da tempo, che decine di volte all’anno, dai telegiornali e dai giornali italiani rimbalzi sempre la solita vecchia e stanca lamentela sulle “clonazioni del food made in Italy”. La Coldiretti ne ha fatto una vera e propria arma di battaglia, e ha insistito talmente tanto, sempre e comunque, da convincere oramai milioni di italiani che le cosiddette eccellenze agroalimentari del nostro povero Paese sono ingiustamente copiate in mezzo mondo. Vero, vero in parte ma non sempre.
Vero ad esempio non lo è stavolta, nonostante la stampa di mezza Italia abbia abboccato in questi giorni all’ennesima azione stampa “piagnona” del principale sindacato degli agricoltori, gridando allo scandalo con toni apocalittici quali “Cibo tarocco: Lega e Coldiretti contro gli Usa”, “Parmesan: uno scandalo” e via dicendo.
Bene, anzi male. Perché se solo si decide di pensare con la propria testa e si va a vedere questa storia dalla parte giusta, ovvero seguendone i fatti, il contesto in cui sono avvenuti, il loro svolgimento e i loro attori, si scopre che il formaggio SarVecchio prodotto e stagionato dalla Sartori Food Corporation ha vinto il primo premio della categoria dei formaggi duri, raccogliendo i più alti voti di una serissima commissione (nella foto qui sopra) composta da ventiquattro esperti nel corso dell’annuale U.S. Championship Cheese Contest, una manifestazione del tutto paragonabile alle più prestigiose del nostro
Paese, con sessanta distinte categorie, 1360 formaggi partecipanti, centinaia di addetti coinvolti nell’organizzazione, e un evento lungo tre intensi giorni, a cui partecipano i migliori produttori degli States.
Un’eccellenza, quella della Sartori, che ha la sola “colpa” di appartenere a quella categoria casearia legittimamente denominata “parmesan”, e che a causa dei limiti del sistema di protezione delle Dop (valido nell’àmbito Ue ma non nel resto del mondo) ha il pieno diritto di esistere, di chiamarsi come si chiama, di partecipare ai concorsi, e di vincerli per meriti oggettivi.
Ci viene da sorridere a pensare a quanti famosi formaggi presenti nei nostri supermercati potrebbero cimentarsi onorevolmente contro l’indiscutibile qualità del SarVecchio Sartori. Purtroppo per loro, ormai, non basta fregiarsi di un nome, di un marchio di protezione né continuare a fare le vittime per riuscire a spuntarla in un mercato che non sempre premia i migliori ma che di certo non premierà mai i piagnoni.