Uht su, fresco giù. La crisi delle vendite è (anche) crisi di valori

Si fa presto a dire "latte". La riflessione, apparentemente banale, scaturisce dalle ultime rilevazioni sulle tendenze alimentari degli italiani, che portano con sé elementi di sconcerto non indifferenti. Certo che, a differenza della massa dei consumatori, che non oppongono resistenza al prodotto globalizzato, molti dei nostri lettori – e questo va precisato – sanno bene che le diversità tra un latte e l'altro sono strettamente connesse alla vita condotta dall'animale, e in particolar modo alla sua alimentazione.

Bene, anzi, male, ma cerchiamo di vederla con gli occhi "del mercato". Se alla pochezza di molti latti industriali si va a sommare la discriminante di un trattamento termico più o meno elevato e protratto nel tempo, la bianca bevanda – per decenni raccomandata all'unisono dai medici di base e mondo scientifico – rischia di traslare dal novero degli alimenti più o meno utili a quello di prodotto pressoché superfluo. Dal punto di vista nutrizionale, s'intende. Ma anche di quelli assai poco gradevoli al palato.

 

Con questa premessa accogliamo i dati Nielsen che confermano una tendenza percepita da tempo, nelle nostre rare frequentazioni dei supermercati: come non mai, da oltre un anno a questa parte, non è raro imbattersi in carrelli stracolmi di cartoni di latte uht (ultra high temperature), in ragione di qualche offerta speciale e – ovviamente – della "prerogativa" di una scadenza a lungo, lunghissimo termine. Che si aggiunge alla "comodità" (cerchiamo di calarci nella "logica" di chi acquista) di poterlo conservare anche fuori dal frigo. Ma questi due fattori esistevano da sempre, quindi la "spinta" decisiva verso il cambiamento è senza ombra di dubbio il fattore economico.

 

Nella più recente fotografia del mercato italiano, l'istituto leader sullo studio del marketing mondiale ci racconta infatti di una società segnata dalla crisi economica, dal timore per il futuro e – aggiungiamo noi – da una forte dose di ignoranza. Venendo al dettaglio della ricerca, il leader dei consumi del mercato italiani è quindi proprio il latte uht (volume d'affari: 527 milioni di euro; con un +4,5% sul 2013), che scavalca prepotentemente il latte fresco, che precipita al nono posto (406 milioni di euro; -1,2%), surclassato anche da biscotti (509 milioni; +5,3%), birre alcoliche (499 milioni; +3,9%), caffè macinato (494 milioni; +0,3%), acqua minerale naturale (439 milioni; +0,2%), affettati (425 milioni; +4,6%), merendine (422 milioni; +1,9%) e la pasta di semola (408 milioni; +0,6%).

 

Secondo gli analisti, la migrazione negli acquisti da latte fresco a latte uht è dovuta principalmente alla chiusura di molte centrali del latte, le cui motivazioni (la concentrazione nelle mani di poche grandi aziende, artefici della peggiore globalizzazione) sembrano interessare poco o nulla gli studiosi dell'istituto (che su altre questioni si slanciano nel proporre chiavi di lettura). A voler guardar bene, il latte fresco è ancora presente ovunque, e le ragioni evidenti del calo delle vendite sono due, per l'appunto: la crisi e l'ignoranza di molti consumatori. La prima viene citata – in via generale – dalla ricerca, mentre l'altra viene letteralmente taciuta, forse nell'intenzione di non disturbare sia chi compra nell'incoscienza, sia chi vende e fa business.

 

"Il suo successo", sottolineano alla Nielsen parlando del latte uht, "è dovuto al minor costo e alla maggior facilità di conservazione". Nessun riferimento alla perdita di vitamine dovuta al violento trattamento termico (133ºC-145ºC per 3"-8") né al gusto compromesso dalla cosiddetta "reazione di Maillard" (una serie complessa di fenomeni che avviene a seguito dell'interazione con la cottura di proteine e zuccheri).

 

Ancora una volta la poca preparazione del consumatore medio porta lo stesso ad operare le sue scelte in base al solo parametro del prezzo, laddove il metro del rapporto qualità/prezzo andrebbe sempre e comunque preferito. La nostra convinzione, lo ribadiamo ancora una volta, è che il mestiere più difficile del mondo sia e rimanga quello del consumatore.

 

14 aprile 2014