8 giugno 2009 – Che i formaggi siano prodotti non sempre e non solo con il latte bensì anche con caseine e caseinati, latti in polvere e cagliate d’importazione, è questione ormai nota ai più. Per contrastare questa tendenza sempre maggiormente diffusa tra le industrie di trasformazione, Coldiretti sta avanzando una serie di richieste – anche dure – al Ministero per le Politiche Agricole Alimentari e Forestali (affinché l’Ue le attui), tese ad offrire al mercato quella trasparenza di cui da anni si parla ma che di fatto non è mai stata concretamente cercata sinora.
Far sapere al consumatore, attraverso l’etichetta, che il tal famoso formaggio è ottenuto da cagliate rumene o polacche e che il tal altro è fatto addirittura con latte in polvere australiano, porterebbe molti big del settore ad un drammatico calo delle vendite, ed è ovvio che se questo tarda ad arrivare non può che dipendere dalle resistenze opposte dalle industrie ad un’eventualità del genere.
Il presidio operato nelle settimane scorse al Frejus da migliaia di allevatori ha permesso di ottenere una chiara conferma delle considerevoli dimensioni sui quantitativi di semilavorati d’importazione, alcuni di uso illecito (il latte in polvere, ad esempio è per uso zootecnico), che raggiungono le nostre tavole sotto forma di formaggi talvolta dichiarati persino come tipici da chi li produce.
È un mercato, quello dei prodotti alternativi al latte, che la Coldiretti ha appena valutato in 86 milioni di quintali per il 2008, destinati oltre che alla produzione di formaggi anche al confezionamento in busta come latte uht (in tre casi su quattro si tratterebbe di latte straniero) e alla produzione di mozzarelle che, secondo il principale sindacato agricolo italiano, sarebbero prodotte una volta su due con cagliate estere.
Per contrastare questo grave stato di cose la Coldiretti alza finalmente il tiro, richiedendo che siano resi pubblici ai consumatori attraverso il web gli elenchi degli importatori di quei semilavorati, ma anche che la tutela dei nostri allevamenti ottenga altre misure di sostegno per il contenimento dei costi, per l’accesso al credito e per risolvere la forbice – registrata dalla stessa Commissione Europea solo in Italia – tra un prezzo al dettaglio in crescita e uno del latte alla stalla, in continuo ribasso.
Tra le azioni da intraprendere che Coldiretti suggerisce c’è quella della mappatura della produzione lattiero-casearia nazionale attraverso l’analisi degli isotopi rintracciabili nei latti confezionati e nei formaggi, una politica che punti ad una maggiore presenza dei prodotti di aziende agricole nelle mense di scuole ed enti pubblici, nei farmer’s market, nei distributori automatici, ma anche una ridefinizione dei ruoli e delle competenze dei consorzi di tutela delle Dop, che in questi ultimi anni si sono dimostrati fortemente impegnati ad attrarre grosse fette dei finanziamenti destinati al settore e a modificare i disciplinari di produzione.
Quest’ultimo aspetto del problema sta però allontanando sempre di più i prodotti Dop dai loro originari valori e dalle loro specifiche caratteristiche, a causa dei continui e ripetuti allargamenti delle aree di produzione e delle eccessive modifiche dei metodi di produzione, sempre più distanti da tradizione, territorio e legami storici su cui l’ottenimento dei marchi Dop era stato fondato.
Un’altra nota, non marginale, sulla questione la merita l’argomento “qualità del latte”. Troppo spesso si sente dire che il latte italiano sarebbe “superiore” in quanto prodotto entro i confini del nostro Paese. A tal proposito i consumatori dovrebbero iniziare ad aprire gli occhi e capire che i “confini” entro cui la qualità può essere prodotta non sono certo quelli geografici bensì quelli di ogni singola azienda. Solo chi lavori bene (senza animali iperproduttivi, alimentazioni spinte, integratori che consentono di massimizzare le rese latte) è in grado di offrire latte di qualità. A prescindere dal Paese in cui il latte viene prodotto.