Zaia alle industrie: «Il prezzo del latte va indicizzato»

23 giugno 2009 – Sull’olio d’oliva nessuno deve temere ribaltoni. È questa la sostanza del recente intervento all’assemblea Copragri (Consorzio Produttori Agricoli) del ministro Luca Zaia, che ha colto l’occasione per rassicurare tanto i consumatori quanto i produttori agricoli che non ci sarà alcun ripensamento e «nessuna deroga all’obbligo di etichettatura». Pragmatismo per pragmatismo, il numero uno del Mipaaf ha voluto affrontare nella stessa sede la questione relativa al prezzo del latte, che vede contrapposti gli allevatori all’industria lattiero-casearia nazionale, arrivata ad offrire ai produttori un prezzo al ribasso che da mesi non riesce a coprire neanche le spese.

In merito a questa vicenda, e alle spavalde posizioni manifestate nelle scorse settimane da Assolatte (che si fa forte di poter acquistare all’estero a 22 centesimi di Euro al litro), il ministro ha risposto puntando il dito al cuore del problema, affermando senza mezzi termini, e schierandosi dalla parte degli allevatori, che «non ci possono obbligare a confrontarci con i costi di produzione dell’Est europeo dove la mano d’opera costa meno, perché altrimenti si chiude».

Oltre a dire cosa non deve accadere, il ministro dell’agricoltura pare anche di sapere in che direzione vada cercata la soluzione all’annoso problema (è dalla campagna 2001/2002 che le parti non hano più trovato un’intesa), affermando che esiste «la volontà di introdurre nuovi principi, per cui il prezzo del latte sia indicizzato in base ai costi di produzione, al mercato e alla concorrenza».

Mentre Assolatte tace, Unalat si dichiara possibilista attraverso le parole del suo presidente Ernesto Folli, che a parole pare aver apprezzato le intenzioni di Zaia. Un braccio di ferro tra ministero e industria del latte appare però improbabile, e al di là degli sviluppi interni (per mercoledì è fissata l’ennesimo incontro tra le parti) c’è da capire se e perché non possa essere trovata una soluzione a livello comunitario. Se lo chiedono anche le migliaia di allevatori di mezza Europa, che nei giorni scorsi si sono ritrovati a manifestare a Bruxelles un dissenso comune.

Vada come vada, c’è da sperare che ad una crisi così grave il mondo produttivo europeo sappia reagire in futuro riducendo le rese, e puntando ad una qualità reale molto diversa dalla qualità di cui la zootecnia intensiva va parlando da vent’anni circa a questa parte.