
L’idea che l’italiano medio ha del latte in polvere è stata molto condizionata dall’abuso che la stampa nazionale ha fatto nell’ultimo anno di questo termine: latte in polvere come “scorciatoia” per produrre formaggi industriali di primo prezzo. Anche, ma non solo. Chi conosce un po’ il settore sa bene che – al di là dell’essere stato privato della sua acqua (>87% quello vaccino) – questo tipo di latte è presente sul mercato in diversissime varianti (da quello per uso zootecnico al “formula”, destinato alla prima infanzia), che lo si trova in molti alimenti industriali (a volte dove non dovrebbe neanche essere), che la sua presenza sul mercato condiziona il prezzo del latte fresco. E molto altro ancora.
Sino a pochi anni fa prodotto prevalentemente in Nuova Zelanda, Australia, Usa e Argentina e principalmente per l’esportazione, il latte in polvere ha iniziato ad interessare i principali gruppi industriali europei, a partire da quelli tedeschi e francesi. Le dinamiche più rilevanti registrate negli ultimi sei anni nel Vecchio Continente, hanno visto la nascita di realtà destinate sia al mercato interno (ad esempio nel 2010 la Inalpi, nel cuneese, legata alla produzione della industria dolciaria Ferrero) che all’export (nel 2014 la francese Sodiaal per conto del colosso cinese Synutra), contribuendo – di fatto – a creare situazioni propizie per il mantenimento di un vitale tessuto zootecnico locale.

Ultima in Europa – ma solo in ordine di tempo – a voler dire la sua a chiare lettere in un settore fiorente come non mai, è la Svizzera, che grazie alla potenza economica della Nestlé, si candida come protagonista sul mercato cinese (e non solo) del latte per l’infanzia. Dopo gli insistenti “rumors” circolati nei mesi scorsi, la notizia è divenuta ora ufficiale oltre che eclatante: il colosso alimentare elvetico ha investito la bellezza di 82 milioni di franchi svizzeri (75,2 milioni di euro) in una nuova unità di produzione dedicata agli alimenti per lattanti, nel suo Technology Center di Konolfingen, nel Cantone di Berna.
Negli ultimi dieci anni, la Nestlé ha investito quasi 600 milioni di franchi per l’ampliamento della capacità di produzione del suo polo produttivo bernese, con la creazione di duecento posti di lavoro qualificati negli ultimi cinque anni. I produttori di latte della regione beneficiano di questi sviluppi ed “è prevedibile”, sostengono alla Nestlé, “che possano raddoppiare la loro produzione nei prossimi anni”.
Da sottolineare che questo latte in polvere della Nestlé viene principalmente esportato (95%) e che i mercati di riferimento si trovano nel Medio ed Estremo Oriente. A tale proposito, ha dichiarato il direttore della nuova fabbrica Eric Stritt nel corso dell’inaugurazione, mercoledì scorso 25 novembre, «esportiamo il 40% dei nostri prodotti verso l’Europa orientale, il 20-30% in Cina, Indonesia e più in generale in Asia, e quasi il 30% in Medio Oriente».
Stritt si è dichiarato soddisfatto dell’ottenimento delle autorizzazioni per produrre sia per il mercato halal che per quello kosher, fattori che aprono le porte ad un’ulteriore espansione sui mercati orientali.
A rallegrarsi delle nuove attività espansionistiche del colosso svizzero è tutto l’indotto locale che – si commenta ora – “produrrà meno Emmental e più latte in polvere”, ma “l’importante è che il comparto regga” in un momento in cui la crisi del latte non ha di certo risparmiato il mercato elvetico. Dopotutto, dal punto di vista dell’economia rurale, si tratta di particolari: le previsioni parlano già di 100mila tonnellate annue di latte assorbito dall’unità di Konolfingen che nell’arco dei prossimi cinque anni sono destinate a diventare 140mila (poco meno del 50% in più).
30 novembre 2015