31 agosto 2009 – Mai come oggi la crisi del comparto lattiero-caseario è stata evidente, pesante, tangibile. Dopo le proteste manifestate nei mesi scorsi prima a Strasburgo, poi al Brennero, organizzate da Emb (European Milk Board, che raggruppa e coordina le maggiori organizzazioni degli allevatori dei Paesi europei) e Coldiretti, l’autunno del settore si preannuncia caldo, a cominciare dal prossimo 7 settembre, quando in concomitanza con la prossima riunione del Consiglio dei Ministri Ue gli allevatori torneranno in piazza con le loro mucche.
Se è vero che il buongiorno di vede dal mattino, i produttori di latte non hanno alcuna fiducia che dalla crisi si possa uscire con le misure previste in sede comunitaria. In merito ad esse, il commissario all’agricoltura Mariann Fischer Boel si è recentemente espressa rifiutandosi di voler reintrodurre lo strumento delle quote latte, che dal 2015 verranno abolite, e giudicando la crisi del prezzo alla stalla come momentanea, come se essa non dipendesse dalla guerra selvaggia dei prezzi praticata dai Paesi dell’Europa dell’Est.
La posizione di Bruxelles non piace a molti dei Paesi membri, in primo luogo quelli che prima dell’allargamento dei confini comunitari verso oriente avevano in mano il grosso della produzione di latte. Francia e Germania in testa, avrebbero già tutti manifestato ufficialmente e in maniera ferma e incondizionata il loro dissenso alla Commissione Europea. Tra di essi, l’”iperprotezionista” Italia (così ci vedono a Bruxelles, dove tradizioni e culture locali sono concetti astrusi, ndr) ha già avviato la procedura per l’approvazione in sede comunitaria del proprio decreto di legge sull’etichettatura (ora al vaglio del Ministero dello Sviluppo Economico), su cui l’Unione Europea dovrà pronunciarsi entro sei mesi.
In attesa che Bruxelles riceva, valuti e disponga l’italico Ddl, le parole spese attorno alla questione dal ministro Zaia appaiono poco confortanti per le realtà più piccole. In un suo articolo dall’eloquente titolo “Ora bisogna chiudere le stalle”, apparso il 26 scorso sul quotidiano La Provincia di Cremona (dove la zootecnia intensiva e le mega-stalle hanno spazzato via da tempo le realtà rurali più autentiche), il ministro leghista ha tenuto a precisare che «Dobbiamo confrontarci con la difficoltà di remunerare il prodotto sul mercato… mettere mano al numero di stalle sul nostro territorio. Farlo, significa imparare a trarre profitto dalla crisi e sfruttarla per attuare una profonda ristrutturazione del comparto, sia nel nostro Paese che a livello comunitario». In parole povere ridimensionare il comparto.
«Ecco perché», ha proseguito il ministro nel suo articolo, «in Europa abbiamo lanciato la proposta di un piano di abbandono del settore per le aziende che si trovino già in condizioni produttive di marginalità». «Così facendo», precisa l’articolo di Zaia, «contribuiremmo anche alla crescita della dimensione media delle aziende», e se qualcuno non avesse ancora capito dove andremo a parare, basta proseguire nella lettura, che non lascia alle piccole aziende alcuno spazio per velleità di sopravvivenza: «Abbiamo bisogno», insiste il numero uno del ministero dell’agricoltura, «di un business plan che accompagni fuori dal mercato le aziende lattiere che sarebbero comunque destinate a chiudere, anche a causa delle loro ridotte dimensioni».
Dopotutto, sin dal suo varo, la Pac (Politica Agricola Comunitaria) puntava a questo, e “questo” pare che sia ora arrivato. Mentre gli aiuti comunitari continuano (col beneplacito del governo) a piovere nelle casse delle realtà più grandi, molti tra i piccoli si preparano a chiudere i battenti. Per chi continua a dire che “piccolo è bello”, oggi possiamo permetterci di aggiungere che è “piccolo è anche e sempre più duro e difficile”…