Millenni di governo non solo di anime ma anche di politica, finanza ed economie non sempre limpide sono intatti nel Dna della Chiesa che oltre ad essere Santa, Cattolica e Apostolica non perde il senso del mercato, chiude un occhio – anzi due – davanti ai rischi degli Ogm e del biotech e li sdogana una volta per tutte e senza alcuna riserva.
È accaduto a Roma la settimana scorsa, in occasione della giornata di lavori “Per una rivoluzione verde in Africa”, organizzata dal Pontificio Ateneo Regina Apostolorum e dall’Università Europea di Roma. L’incontro, che aveva come sottotitolo “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”, si è tenuto in preparazione del Sinodo straordinario dei vescovi africani, in programma dal 4 al 25 ottobre prossimi nella Città del Vaticano ed è servito per avviare gli alti prelati che hanno interessi in materia, un dialogo sull’Instrumentum Laboris, documento elaborato su queste tematiche nel marzo di quest’anno.
Gli interventi più significativi registrati nella giornata di lavori sono stati quelli di padre Gonzalo Miranda, docente di Bioetica all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum («l’Africa è il continente più ricco di materie prime del mondo, ma è anche quello in cui c’è più gente che muore di fame e di malattie» e «la rivoluzione verde e l’uso delle biotecnologie vegetali sono espressione di quanto di meglio oggi si possa fare in campo agricolo») e monsignor Giampaolo Crepaldi, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace («la biotecnologia è una cosa buona, ma può essere usata male» anche se «ha prodotto concretamente un grande sviluppo in molti settori, come quello della zootecnia», alludendo forse anche alle mucche da 50 litri al giorno, ai mangimi e alla somatropina, usata illegalmente) entrambi da tempo schierati a favore delle ragioni del biotech.
Peccato davvero che in occasione di un incontro di questo rilievo la Chiesa non abbia cercato un contraddittorio con la pur cospicua schiera di scienziati e uomini di cultura che, a ragione, in Italia e in larga parte dell’Europa si oppongono alla prospettiva di consegnare l’agricoltura nelle mani di pochi gruppi industriali.
Tanto per ricordare di cosa stiamo parlando, è bene citare quanto recentemente osservato da Mario Capanna, leader della Fondazione dei Diritti Genetici, secondo cui «recenti dati sulla diffusione commerciale degli Ogm indicano che, a ben tredici anni dalle prime semine biotech e a diversi lustri dall’avvio delle relative ricerche e sperimentazioni, soltanto quattro colture e due tratti transgenici sono stati messi a disposizione degli agricoltori, e nessuno di questi per combattere la fame».
«In secondo luogo », prosegue Capanna, «una ricerca commissionata tra gli altri dalla Banca Mondiale e dalla Fao ha coinvolto quattrocento scienziati e decine di Paesi del Nord e del Sud del mondo chiarendo in modo inequivocabile che le colture transgeniche non sono una soluzione per la fame o la povertà».
Nonostante questo, le teorie espresse dallo stesso pontefice nella 42sima “Giornata Mondiale della Pace”, svoltasi il 1° gennaio scorso sul tema “Combattere la povertà, costruire la pace” appaiono oramai vicine ad essere superate. «L’attuale crisi alimentare», aveva allora ricordato Benedetto XVI, «è caratterizzata non tanto da insufficienza di cibo, quanto da difficoltà di accesso ad esso e da fenomeni speculativi e quindi da carenza di un assetto di istituzioni politiche ed economiche in grado di fronteggiare le necessità e le emergenze». In merito all’aumentata forbice tra mondo ricco e mondo povero, il papa aveva sottolineato come essa dipenda proprio dai forti cambiamenti tecnologici in atto, avanzando evidenti dubbi sulla liceità e l’opportunità di un’apertura incondizionata al biotech.
30 settembre 2009