Ad appena cinque settimane dal grave ridimensionamento della produzione, seguìto allo stop degli aiuti comunitari all’ammasso, il Consorzio di Tutela del Pecorino Romano torna ad occuparsi di questioni apparentemente secondarie, come l’immagine del prodotto, il rispetto del disciplinare, le etichette e i controlli.
La prima novità, che poi tanto novità non è, visto che se ne parlava da circa cinque anni, è relativa alla distinzione del prodotto, in base alle sue origini regionali. La Commissione Europea ha infatti finalmente accettato che le forme prodotte in Sardegna (il 96% del totale) e quelle realizzate nel Lazio (4% appena) vengano contraddistinte dall’apposizione di una specifica icona (raffiguranti in un caso l’isola e nell’altro una figura di condottiero romano), confermando l’obbligo di realizzarle integralmente nella regione, a partire dal latte per finire alla breve stagionatura a cui vengono sottoposte prima della commercializzazione.
La decisione, che viene presentata ora come garanzia di provenienza a favore dei consumatori, affonda le radici nella vecchia richiesta di un elemento distintivo da parte dei produttori laziali (sostenuti dall’allora ministro dell’agricoltura Gianni Alemanno), avanzata nel 2003 per tutelare le diversità della produzione continentale, sempre poco vocata al grattugiato e interessata a valorizzare le proprie peculiarità gustative (il Pecorino Romano “laziale” è caratterizzato da una salatura più moderata rispetto al suo omologo sardo).
Una polemica mai del tutto sopita, quella tra laziali e sardi, con i primi che hanno sempre puntato più al mercato interno che all’export, e i secondi che si sono appoggiati troppo a lungo e senza grandi alternative al mercato nordamericano del grattugiato (in cui sono entrati prepotentemente negli ultimi anni intraprendenti competitor argentini) e agli aiuti comunitari di recente venuti meno.
Dal canto suo, il consorzio ha di recente deciso di avviare una nuova strategia dei controlli, tesa soprattutto a verificare la provenienza del latte, problematica legata ai grandi flussi di materia prima importati dai Paesi dell’Est europeo, a cui alcuni produttori ricorrerebbero per far fronte, fraudolentemente, alla crisi.
15 novembre 2009