Amalattea punta al raddoppio grazie al latte sardo di capra

Chi frequenti i banchi frigo dei supermercati sa che Amalattea è il produttore che meglio ha saputo interpretare sinora la richiesta di massa di formaggi caprini del nostro mercato. Da sempre in grado di distribuire anche nella stagione invernale, in cui naturalmente le capre vanno in “asciutta” (due sono i metodi: la destagionalizzazione del ciclo riproduttivo e l’acquisto di latte dal mercato globale), Amalattea ha di recente presentato il progetto che la vedrà impegnata in Sardegna per produrre – finalmente – un formaggio caprino sardo da latte di capre allevate nell’isola.

Diciamo “finalmente” perché Amalattea è un’azienda che oramai viaggia su volumi considerevoli di latte lavorato: 8 milioni di litri all’anno, provenienti in prevalenza dall’Olanda, a cui si aggiungeranno nel 2010 i 6-7 milioni di litri che venti aziende sarde produrranno in Ogliastra da 25mila capi di capre di razza Murciana, sufficientemente produttive e adatte ai metodi di allevamento intensivo necessari per raggiungere detti quantitativi.

A conti fatti, ciascun allevatore dovrà impegnarsi a lavorare con una media di 1250 capi e a produrre 325mila litri di latte. Un latte che verrà pagato tra i 67 e i 79 centesimi di Euro al litro, garantendo all’alevatore un reddito lordo medio di oltre 220mila euro/anno. Numeri tutt’altro che indiffrenti, se si pensa che gli allevamenti di riferimento nell’ambito tradizionale (in Italia, ad esempio Boscasso e Lo Puy) non superano le 60 unità in lattazione.

Tornando al “pianeta Amalattea”, che ha già reperito sul mercato locale quindici delle venti aziende “satellite”, esso verrà sostenuto da incentivi statali  destinati agli impianti di energia fotovoltaica di cui gli allevamenti si dovranno dotare. L’importanza dell’energia solare per il progetto di Amalattea in Sardegna sta nella pratica della destagionalizzazione di calori, monte, gravidanze e parti (pratica invisa a chi abbia a cuore il rispetto della naturalità degli allevamenti), senza la quale il latte non sarebbe naturalmente disponibile in inverno.

 In sostanza la destagionalizzazione consiste nell’”ingannare” una metà circa del gregge “allungando” il fotoperiodo invernale (illuminando a giorno le stalle per qualche ora in più la sera) ed accorciando quello primaverile (oscurando i finestroni delle stalle nel tardo pomeriggio).

Così facendo, le capre andranno in calore “fuori stagione”, i becchi le monteranno (ammesso che non si ricorra all’inseminazione artificiale) e i parti arriveranno quando non arriverebbero altrimenti, vale a dire in ottobre, offrendo all’allevatore e all’industria che ne voglia disporre di latte di capra quando il latte di capra normalmente non c’è.

E tutto questo perché… sarebbe molto più complicato andare a spiegare al consumatore medio che “il formaggio di capra in inverno non c’è”. Con buona pace per i puristi, gli animalisti e i fautori del buon formaggio di capra “fermier”.

13 dicembre 2009