Non si può escludere che molte migliaia di bambini nel mondo abbiano consumato per tredici anni consecutivi latte in polvere contaminato da salmonella. È quanto emerso nei giorni scorsi grazie alle indagini che le autorità francesi continuano ad eseguire per decifrare il caso Lactalis al fine di individuare negligenze, omissioni e reati dei vari attori coinvolti nellla vicenda: dai responsabili legali e delle unità produttive dell’industria francese a quelli delle commerciali presenti nei vari Paesi interessati, ai sistemi di allerta che avrebbero potuto e dovuto funzionare meglio.
Sullo scenario della vicenda si staglia netta la figura della torre di essiccazione n.1 del latte che già nel 2005 sarebbe stata contaminata dall’agente batterico, mai debellato nonostante i tentativi di bonifica operati.
La vicenda del colosso francese appare così con sempre maggior gravità agli occhi del mondo, via via che le autorità del Paese continuano ad investigare sul caso, ricostruendo le vicende di un passato più o meno remoto, e aggiungendo alle risultanze delle indagini le parole dell’amministratore delegato dell’azienda, Emmanuel Bernier, più volte interrogato dagli inquirenti e intervistato una seconda volta da emittenti e giornali del proprio Paese.
Incontrando nuovamente i giornalisti, Besnier ha precisato che la salmonella enterica di sierotipo Agona, isolata nelle settimane scorse nell’impianto di Craon, è la medesima che tredici anni fa – quando l’impianto non era ancora stato acquisito da Lactalis – provocò la salmonellosi in 146 bambini, e che anche allora fu individuata nella stessa torre di essiccazione.
Alla luce delle ultime evidenze, che metterebbero in discussione la bontà delle analisi eseguite negli anni, si ipotizzerebbe uno scenario assai preoccupante (la salmonellosi è spesso asintomatica, ndr) per molti dei bambini alimentati in quegli anni con latte in polvere prodotto a Craon.
Nel tentativo di scagionarsi da ulteriori responsabilità rispetto a quelle già emerse, il numero uno del colosso del latte francese ha insistito nel dire che «disponiamo di revisioni sistematiche effettuate da un laboratorio di riferimento esterno; revisioni che mai ci hanno allertato sulla pericolosità dei prodotti, sin quando abbiamo ricevuto due allarmi per la salmonella nell’agosto e nel novembre scorsi».
Ogni volta che i problemi sono emersi «arriviamo, puliamo fino a quando tutto è in ordine e riprendiamo l’attività», ha precisato Bernier, che non ha perso l’occasione per gettare ombre sull’operato del laboratorio di analisi. «Ci facciamo molte domande», ha aggiunto l’a.d. della Lactalis, «circa l’affidabilità delle analisi effettuate dal laboratorio; davvero non riusciamo a capire come 16mila analisi operate nel solo 2017 non abbiano rivelato nulla. Abbiamo quindi gravi dubbi a proposito dell’affidabilità dei test, ed è impensabile che in presenza di una contaminazione, ogni volta l’esito dei test sia stato positivo».
Parole, quelle di Bernier, che palesano la volontà di trascinare terze parti in una sventura che si prevede possa venire a costare centinaia di milioni di euro, come già annunciato dagli interessati. Le cause legali sono state presentate da un crescente numero di genitori che muovono tutti la medesima accusa, vale a dire che i loro bambini si sarebbero ammalati dopo aver bevuto il latte in polvere della Lactalis.
Ai costi di natura legale e amministrativa (il governo francese ha annunciato sanzioni per il produttore e per i vari attori della rete distributiva, ndr) si sommano quelli della logistica, vale a dire del ritiro di 12 milioni di scatole di latte in polvere da ben 83 Paesi: dall’Europa continentale, dall’Asia, dall’America Latina e dall’Africa. Possono dormire invece sonni tranquilli i genitori (e i legali) che vivono in Italia, nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in Australia.
5 febbraio 2018