
Chi pensa al latte è portato a immaginarlo liquido, per come si presenta sul mercato al dettaglio: in bottiglie di plastica o (raramente) di vetro, ma più spesso in piccole taniche (non in Italia) o in tetrapak da litro o da mezzo litro. Il mercato del latte però è fatto anche di latte trasformato – non solo in yogurt e formaggi – ma anche polverizzato, per uso industriale. Un latte che, percorrendo il mercato mondiale da un continente all’altro, concorre inevitabilmente alla formazione del prezzo del latte alla stalla.
Di questo latte in polvere, che così tanto conta sul piano delle compravendite e di cui nessun consumatore ha chiara percezione, sono sempre più pieni i mercati europei. Milioni di sacchi di latte, di cui poco si parla, fermi ormai da tempo nei magazzini comunitari siti in Belgio, Francia e Germania, stanno per causare un ulteriore calo – verosimilmente un crollo – del prezzo del latte alla stalla.
Le cifre appaiono impressionanti, tanto quanto lo sono stati, agli occhi delle rappresentanze degli allevatori, i locali di stoccaggio saturi di latte polverizzato. A confermarlo nei giorno scorsi sono state le note stampa dello “European Milk Market Observatory”, che hanno raccontato di giacenze mai viste prima: “400mila tonnellate di latte in polvere ancora immagazzinate il 18 gennaio scorso”. Quantitativi di proporzioni bibliche, che ancora “dormono” nei locali di stoccaggio preoccupando non poco il Governo centrale europeo.
Dal canto suo, il commissario Ue per l’agricoltura Phil Hogan, pur non nascondendo il problema dell’attuale fermo nei magazzini, ha preferito analizzare la situazione puntando il dito contro il forte incremento produttivo registrato a partire dal gennaio dello scorso anno, definendolo semplicemente “non sostenibile”. Con un prezzo medio di 33 centesimi di euro al litro nel primo trimestre del 2017 e il mercato del burro che ha registrato il raddoppio delle quotazioni, il latte ha sofferto un’ulteriore e forte impennata produttiva, poi frenata sotto l’inevitabile calo del prezzo d’acquisto.
In questo complicato scenario, dove andrà il latte europeo? Di fronte a questa domanda, Hogan ha dichiarato: «Di sicuro l’Europa non comprerà più questa polvere che nessuno vuole». Una proposta, questa di Hogan, che ha trovato il sostegno dei ministri agricoli europei che l’hanno ratificata nel loro ultimo summit, il 29 gennaio scorso.
Latte in polvere: una vicenda non nuova
A ben guardarla, però, l’attuale vicenda del latte in polvere non è risultata nuova in Europa né ai politici né agli operatori del settore, già che il ricorso al suo immagazzinamento prese consistenza a metà del 2015, a seguito della fine del regime delle quote latte. Il fenomeno ebbe una prima escalation nel 2016 a seguito dell’iniziativa della Commissione Europea, che tentò con esso di stabilizzare un mercato colpito da una pericolosa propensione alla sovrapproduzione.
In altre parole, quello che poteva essere un escamotage plausibile per brevi periodi e su necessità contingenti, si sta rivelando un grave pericolo, a seguito dell’abuso di questa misura. È così accaduto che, nell’ultimo anno – a fronte della ripresa del prezzo latte alla stalla – la quotazione del prodotto in polvere sia diminuita di un terzo nel breve volgere di pochi mesi.
Cosa fare ora di tutto questo latte in polvere immagazzinato? La vendita di queste riserve riuscirà a coprire i costi dell’investimento? E se così non fosse, l’Ue adotterà misure compensative? A giudicare dalle ultime vendite all’asta, la Commissione Europea è evidentemente orientata alla massima cautela: le scorte vanno abbattute ma senza forzature, né di prezzi né di tempi. La parola d’ordine è per tutti una sola: prudenza. Ma il prodotto, che ha una shelf-life di 36 mesi, si deprezza con il passare del tempo.
Osservando in dettaglio gli ultimi tredici mesi, ad un 2017 in cui sono state vendute, mediante gara, appena 220 tonnellate di latte in polvere – per evitare di danneggiare il mercato – è seguita una importante accelerazione nel mese scorso, con 1.864 tonnellate aggiudicate all’asta, in un’operazione che però pare non sia riuscita a soddisfare nessuno degli operatori.
In queste ultime attività “la Commissione ha acquistato a prezzi compresi tra i 18 e i 20 centesimi al chilo, per poi vendere in perdita, tra gli 11 e i 12 centesimi”, spiegano i responsabili dell’Emb (European Milk Board) di Bruxelles, che raggruppa oltre 100mila allevatori di quindici nazioni europee. “Una situazione che non può durare oltre”, insistono i vertici dell’Emb, “anche perché i costi di immagazzinamento, pari a 10 milioni di euro per il solo 2017, pesano sulle tasche di tutti i contribuenti”.
In questo intrigatissimo scenario sono proprio i vertici dell’Emb ad avanzare la richiesta di definire un massimale per la produzione di latte e un prezzo di 30 centesimi al chilo per il prodotto in polvere. “Gli allevatori”, spiegano allo European Milk Board, “devono unirsi per difendere un prezzo del latte in grado di coprire i costi di produzione: un prezzo di 45 centesimi al litro, che finalmente includa anche il salario”.
5 febbraio 2018