“L’unione fa la forza”: lo sanno gli stormi di uccelli che assieme riescono a difendersi dai rapaci, e in qualche modo ne sono coscienti anche i pinguini, che con vere e proprie strategie di gruppo sanno ridurre i rischi di predazione da parte delle foche. A guardar bene, però, sono moltissime le specie animali – dalle antilopi alle formiche! – in grado di sopravvivere alle criticità attraverso vere e o proprie “strategie sociali”.
A non saperlo più, o a non saper più come attuare delle soluzioni collettive che portino utilità al singolo e alla comunità, sembra essere rimasto il genere umano, o meglio una parte di esso. Se qualcuno prendesse in esame il mondo rurale itaiano, ad esempio, noterebbe che, fatte le debite eccezioni, nel singolo prevalgono comportamenti autolesionistici e persino autodistruttivi, quali la propensione all’autoisolamento, la diffidenza per il prossimo, la tendenza a rimettere le scelte cruciali nelle mani dei “soliti noti” che governano la politica agricola a livello nazionale (ministero, enti centrali) e locale (associazioni allevatori, confederazioni agricole) e che al bene comune del mondo rurale preferiscono i propri tornaconti.
In Italia la situazione è desolante, ma se solo si guarda ai nostri vicini – alla Francia e alla Svizzera, ad esempio – si vedono evidenti i segnali di una vitalità residua e di una spinta a contrastare le avversità del momento. Ce lo raccontano in questi giorni iniziative come quella del “Lait Equitable”, in Normandia o del “Fair Milk” in Svizzera.
Nella Confederazione Elvetica, ad esempio, e più precisamente a Zurigo, mercoledì scorso, nove allevatori (due donne e sette uomini) hanno convocato un incontro con la stampa per rivendicare un prezzo equo di 75 centesimi di franco svizzero (0,65 euro) al litro, attraverso la creazione di un marchio identificativo – “Fair”, in italiano “giusto” – che garantisce ai consumatori una qualità definita e riconoscibile.
Gli allevatori hanno così illustrato un vero e proprio manifesto, dichiarando di esigere “un migliore riconoscimento dei produttori di latte svizzeri e del prodotto naturale che è il latte”, impegnandosi a produrre in maniera “sostenibile e rispettosa degli animali”, e battendosi, per l’appunto, per i 0,75 Chf (franchi svizzeri) al litro.
La Fpsl (Federazione dei Produttori Svizzeri del Latte), convinta della bontà dell’iniziativa, ha già garantito il proprio appoggio alla campagna promozionale, sin dalle sue prime battute.
“Benché il latte svizzero sia apprezzato”, hanno specificato gli allevatori, “il prezzo che numerosi produttori ne traggono permette loro a malapena di coprire i costi”, tant’è che per un litro di latte venduto a circa 1,40 Chf (1,22 euro) nel negozio, gli agricoltori ottengono spesso soltanto 0,56 Chf (0,49 euro) e lavorano dunque per il minimo vitale.
“Per molti di loro il solo modo di mantenere la produzione è chiedere a membri della famiglia di lavorare gratis nell’azienda”, spiegano i nove contadini, che sono giunti a Zurigo da varie parti della Svizzera tedesca e romanda.
Il loro obiettivo è che non solo il latte, ma anche i suoi derivati – panna, burro, formaggio e yogurt – siano accompagnati nella vendita dal logo “Fair”, che li renda riconoscibili da parte della gente. Grazie al “modesto aumento di prezzo” che esso comporterebbe, affermano, “gli agricoltori potranno coprire i loro costi e procedere a breve o lungo termine agli investimenti necessari per rispondere alle esigenze in fatto di benessere animale e di produzione e per continuare a produrre secondo le tecniche moderne”.
12 febbraio 2018