
La Svizzera del formaggio si guarda allo specchio e si trova con qualche ruga in più rispetto al recente passato. Ad essere presi in considerazione dagli analisti finanziari sono stati i dati del mercato interno, che pur avendo fatto registrare nel 2017 un consumo pro-capite di 21kg a testa – di 3kg maggiore rispetto alla media europea – ha segna una leggera flessione rispetto all’anno precedente, con 182mila tonnellate consumate, vale a dire -500 tonnellate rispetto al 2016 (-o,27%) e +600 tonnellate rispetto al 2015.
A preoccupare più di ogni altra evidenza è la quota di prodotto importato, che ha raggiunto il 33% del totale (25% nel 2008). Nel breve arco di un decennio i formaggi di provenienza estera sono quindi passati da un quarto ad un terzo dei consumi complessivi.
A comunicarlo, mercoledì scorso, in una nota stampa congiunta, sono stati i responsabili di Psl (Produttori Svizzeri di Latte), Agristat e Switzerland Cheese Marketing, sottolineando che l’incremento delle importazioni è stato influenzato dall’attuale forza del franco svizzero ma anche dalla proposta di formaggi a buon mercato, in grado di competere sul prezzo con alcune tipologie di prodotto non particolarmente caratterizzate come elvetiche.
A resistere bene all’attacco sferrato dai mercati stranieri sono i classici della tradizione elvetica: Emmentaler, Gruyère, Raclette du Valais, Vacherin Fribourgeois (son qui tutti Dop), Appenzeller e Tilsiter, di cui complessivamente vengono consumati 300 grammi pro-capite nel corso dell’anno.
Tra le diverse tipologie, una conferma importante arriva dai semiduri, duri ed extraduri, che tengono bene sul piano delle vendite, mentre a flettere sono i freschi, in forte controtendenza (-15% nel 2017 sul 2016) rispetto all’andamento di mercato degli anni precedenti.
26 marzo 2018