
#Savethecheese è sì un hashtag ma è ancor più una richiesta d’aiuto. Un’accorata richiesta d’aiuto lanciata dal Canada al Mondo. #Savethecheese è anche e soprattutto una denuncia che vale per il mondo, una denuncia gridata attraverso il popolo dei social media da un piccolo produttore di formaggio, una minuscola realtà che crede nei valori delle tradizioni, da mantenere vivi e tramandare alle future generazioni.
#Savethecheese è l’hashtag che Dustin Peltier e Rachel Isaak, proprietari di Loaf and Honey – azienda di catering e caseificio artigianale del Manitoba, in Canada – hanno condiviso venerdì scorso dalle loro pagine Facebook e Instagram per cercare solidarietà e sostegno, dopo che le autorità sanitarie locali hanno imposto loro dapprima una serie di costosissime analisi e – infine – la pastorizzazione di un formaggio storico che mai era stato pastorizzato prima d’oggi.

Un formaggio vaccino, il Fromage de La Trappe che se da un canto continuerà ad essere prodotto, dall’altro non sarà più lo stesso, almeno sinché un futuro ricredimento non dovesse riportare in auge la sua lavorazione a crudo: una ricetta e un incantesimo infranti in nome del cieco igienismo e di regolamenti applicati senza criterio. E senza rispetto.
La ricetta dei frati trappisti trasferita a Dustin e Rachel
L’intero know-how del formaggio fu trasferito quasi tre anni fa a Dustin e Rachel dall’anziano Padre Alberic del Monastero di “Notre Dame des Prairies” di Holland, cittadina del Manitoba. Il frate, all’epoca 82enne, era l’ultimo casaro e depositario di ogni aspetto di quella produzione: dalla gestione del latte ai segreti della cantina. L’unico che conoscesse quel metodo produttivo tradizionale che rischiava di essere perduto.

Fu per queste ragioni quindi che Alberic incontrò Dustin e Rachel. E fu così che, mettendo nelle loro mani il futuro di quel prodotto, mise in salvo un fare antico, tramandato nei secoli e trasferito dalla Francia al Canada. Non solo una ricetta e un formaggio ma un intero savoir-faire rurale e contadino che nelle intenzioni del frate non poteva andare disperso. E che avrebbe dovuto essere assolutamente mantenuto in vita.
La vicenda di quel “passaggio di testimone” fu ben narrata dal quotidiano canadese National Post nell’articolo “Manitoba’s last Trappist cheese-making monk finds a pupil for his 300-year-old secret recipe” (trad.: “L’ultimo monaco trappista del formaggio Manitoba trova un allievo per la sua ricetta segreta di 300 anni”), pubblicato il 21 dicembre di due anni fa.

“Aiutateci a salvare un formaggio che è Storia”
Sin qui gli antefatti, poi venerdì scorso – come dicevamo in apertura – ecco il primo hashtag #savethecheese che dà il “la” ad un accorato appello. “Non solo lottiamo per mantenere viva una parte della storia del caseificio e del formaggio di Manitoba”, è scritto sulla pagina Facebook di “Loaf and Honey“, “ma questa è una parte della storia del Canada. Ci è stato affidato questo libro e altri pezzi di storia su questo formaggio. La lotta è reale, i nostri controllori e responsabili politici stanno cercando di distruggere parti della nostra storia e della nostra cultura alimentare”.
“Le fattorie e i trasformatori su piccola scala”, continua la denuncia dei “Loaf and Honey, “sono le basi su cui questo Paese è stato costruito. C’è una parte crescente della nostra popolazione che richiede cibo coltivato e prodotto in un modo più sostenibile e tradizionale, che non richiede prodotti chimici e conservanti artificiali per far sì di potersi “salvare”. Non chiediamo standard di sicurezza alimentare, al contrario. Chiediamo l’integrità dei nostri controllori e un campo di gioco equo, così da poter preservare i nostri metodi e tradizioni mentre li trasferiamo dal passato nel presente”.
“Più di 80 lotti di formaggio sono stati respinti dal dipartimento della salute”, hanno spiegato Dustin e Rachel, “ora devono essere distrutti”. “Abbiamo passato gli ultimi 2 anni – e speso più di 20.000 dollari – seguendo le indicazioni del Dipartimento dell’Agricoltura per effettuare costosi test di laboratorio, con risultati discutibili. La storia è lunga, dolorosa, confusa e complicata. Ecco la semplice versione di come e perché tutto questo sia finito”.
Una battaglia di civiltà e una petizione da firmare
Altro non rimane da fare adesso, che divulgare questa vicenda al mondo intero, aspettando che una petizione venga creata per una raccolta di firme che possa riportare la storia al suo posto.
Esistono tutti gli strumenti, tecnici e scientifici – e le relative procedure di controllo – per garantire ad una comunità di consumatori il diritto alla salute. Gli stessi strumenti, sommati alla disponibilità dei responsabili sanitari a svolgere sino in fondo il loro ruolo dovrebbero garantire ai produttori di lavorare come meglio credono. E ad una produzione storica di continuare ad esistere anche in futuro. È una questione non di salute pubblica ma di civiltà e di rispetto. E di senso della misura, nell’esercizio del proprio ruolo di potere.
25 novembre 2019