L’entrata in vigore dei dazi imposti dall’amministrazione Trump ai prodotti europei mostra i primi effetti: non solo un importante calo delle vendite – attualmente valutato attorno al 20%, che avrà un senso quantificare ben oltre le festività natalizie – ma anche un prevedibile incremento della produzione interna, calcolato attorno al 4%, che non si esclude possa ulteriormente aumentare, sull’onda di una disaffezione al prodotto di importazione, quantomeno da parti delle classi meno abbienti.
Si concretizzano così i propositi del presidente americano, che con questa operazione ha voluto sia rispondere al “caso Airbus” (concessione di aiuti dall’Ue a favore della compagnia aerea europea ritenuti illeciti dall’industria aeronautica Usa) che speculare su di esso, con l’intento di favorire la produzione lattiero-casearia statunitense in un momento di particolare criticità.
I maggiori benefici registrati sin qui, “premiano” le industrie statunitensi del formaggio che all’inizio di quest’anno avevano avanzato al proprio Governo la necessità di un riscatto delle produzioni “european sounding” rispetto alle originali. La tendenza attuale, quindi, fa prevedere un incremento ulteriore degli attuali livelli produttivi, attestati attorno ai 2,5 milioni di tonnellate, sfornati principalmente da Wisconsin e California nel 2018 (assieme superano il 60% della produzione statunitense) e dal resto del Paese.
Nella classifica delle produzioni statunitensi figurano nell’ordine “mozzarella”, di cui si producono quasi due (1,97) milioni di tonnellate l’anno, seguita dai famigerati Parmesan con 192mila tonnellate, “provolone” con 181mila tonnellate, “ricotta” con 113mila tonnellate, e Pecorino “tipo romano” con 25mila tonnellate, quest’ultimo spesso realizzato “anche” con latte di pecora.
Se – come paventato dal presidente Trump – le tariffe doganali Usa dovessero essere ulteriormente incrementate (dal 25% al 100%), molti prodotti europei verrebbero di colpo estromessi dal mercato statunitense, cancellando un giro d’affari di 500 milioni di export. In questo scenario, se Roma non ride più, Parigi potrebbe presto piangere, visto che l’amministrazione statunitense sta valutando una tassazione fino al 100% su alcuni prodotti francesi, quali champagne e formaggio, come risposta all’introduzione della “digital tax”, che graverà sui ricavi di Amazon, Apple, Facebook e Google.
La controversia tra i Governi statunitense e francese, nata nel corso della recente estate, era stata sospesa nel tentativo di trovare un accordo che non è arrivato. Anche qui, come nel caso di Airbus, l’interpretazione di una lobby Usa – in questo caso quella informatica – è che la manovra europea, avallata dalla firma di Macron, discrimini le aziende a stelle e strisce. Le ritorsioni quindi potrebbero colpire dapprima i prodotti francesi, per poi essere estese a tutti i Paesi europei – Italia inclusa – che stanno valutando un adeguamento delle sanzioni denominate “digital tax” o “web tax”.
9 dicembre 2019